Obiettivo calcio

Obiettivo calcio

giovedì 18 dicembre 2014

CIAO INDIMENTICABILE SERGIO!!!


Una brutta notizia. Che fa a pugni con il clima festoso del Natale. A soli 45 anni ci ha lasciati Sergio Isabella, da otto anni in lotta con la terribile Sla. Un esempio per tutti. Per la dignità con cui ha vissuto la malattia, per la forza con cui ha affrontato ogni minuto della sua dura battaglia, per il messaggio che ci lascia, per la straordinaria e infinita catena di solidarietà che si è sviluppata attorno a lui e alla sua famiglia grazie a un gruppo di amici per i quali ogni aggettivo sarebbe riduttivo. Se ne va una persona che pur con il "forzato silenzio" degli ultimi anni ci ha "urlato" in faccia tutta la sua voglia di vivere e di restare pervicacemente attaccato a ciò che di bello (e di brutto) ogni giorno l'esistenza ci offre. Se ne va un amico che non ho mai avuto il piacere di conoscere di persona (un rammarico, certo), ma che ho incontrato dal vivo (l'ultima volta a Castenaso) e per il quale, nel mio piccolo, mi sono dato da fare. In modo semplice, da sportivo a sportivo, quale era Sergio, ex promessa del calcio.
Sergio lascia un vuoto difficilmente colmabile. Ritrovarsi per una cena, uno spettacolo o una partita organizzati per raccogliere fondi da destinargli, non darà più la stessa carica di prima. Ma resta la sua bella famiglia, resta il suo indelebile ricordo, resta la sua preziosa eredità. E allora sì, bisognerà continuare, in un modo o nell'altro, a ritrovarsi. Perché Sergio non ci lasci davvero. Non ce lo possiamo permettere. Quindi, "solo" un... ARRIVEDERCI SERGIONE. E FORZA BOLOGNA!!!!

giovedì 13 novembre 2014

Liberiamo Ghoncheh Ghavami: Modena Volley al fianco di Amnesty



Ghoncheh Ghavami è un giovane ragazza iraniana condannata a un anno di carcere per aver voluto assistere a un evento sportivo (Iran-Italia, valida per la World League maschile e disputata lo scorso giugno), malgrado il divieto imposto dalla morale islamico-sciita e dunque accusata di “propaganda contro il sistema di governo”.
Il mondo dello sport si è stretto attorno a questa vicenda e tante sono state le dimostrazioni di solidarietà.
Fra le tante, significativa quella di Catia Pedrini, presidentessa di Modena Volley: «Di fronte a questa situazione deprimente, la mobilitazione del mondo del volley per Ghoncheh Ghavami, la giovane iraniana condannata a un anno di carcere per aver voluto sfidare il divieto per le donne di assistere agli eventi sportivi, è di straordinaria importanza. Come Modena Volley abbiamo realizzato un video che sta avendo enorme divulgazione e che dimostra che c’è una parte del mondo sportivo che non si chiude in se stessa, nei palasport o negli stadi, ma che guarda a cosa accade nel mondo, prendendo posizione e denunciando situazioni che offendono il comune sentire. Due settimane fa, il volley italiano ha mandato la sua solidarietà a Ghoncheh e ha fatto sapere alle autorità iraniane che la repressione che stanno portando avanti non passa inosservata. Dobbiamo dare coerenza e continuità a questa e ad altre mobilitazioni. Ora Amnesty International ha lanciato un appello mondiale per la scarcerazione di Ghoncheh. Io ho aderito e vi invito caldamente fare lo stesso cliccando sul link http://www.amnesty.it/iran-ghoncheh-ghavami. In 53 anni di attività, gli appelli di Amnesty International hanno tirato fuori dalle carceri del mondo oltre 50.000 prigionieri di coscienza. Vogliamo che Ghoncheh sia la prossima».
Riccardo Noury, Direttore dell’Ufficio Comunicazione Amnesty International Italia, spiega: «Abbiamo sentito frasi quali “È solo un evento sportivo”, “Lo sport non può fare il cane da guardia della situazione dei diritti umani nel mondo”, “Non mescoliamo lo sport con la politica”, pronunciate da dirigenti sportivi in occasione di eventi piccoli o grandi. Penso alle Olimpiadi estive di Pechino, a quelle invernali di Sochi, ai gran premi di Formula 1 in Bahrain, ai Mondiali di calcio di Brasile 2014, mentre l’edizione del 2022 in Qatar rischia di passare alla storia come quella basata sullo sfruttamento del lavoro migrante in condizioni equivalenti alla schiavitù. Invece proprio dallo sport, grazie alla sua straordinaria popolarità e diffusione, deve arrivare un messaggio chiaro contro qualsiasi forma di sfruttamento e repressione della libertà individuale».

mercoledì 5 novembre 2014

Settore giovanile: quando il figlio educa il padre

Riporto da La Stampa del 4 novembre il pungente commento di Massimo Gramellini (la sua quotidiana rubrica "Buongiorno" è un imperdibile momento di riflessione) sull'aggressione di un giovane arbitro avvenuta in Puglia per opera del papà di un altrettanto giovane calciatore (categoria Giovanissimi). Il quale, per nulla fiero di avere come (finto) paladino della giustizia il proprio genitore, non ha esitato a rinfacciarglielo, chiedendo nel contempo scusa al coetaneo malmenato per futili ragioni (un rigore non fischiato? un'ammonizione affrettata? un fallo invertito? niente che possa legittimare una reazione del genere...).
Una lezione da tenere a memoria. E un motivo per ritrovare, seppur a denti stretti, il sorriso: se il mondo gira storto, per fortuna c'è qualcuno che ha voglia di raddrizzarlo. Fregandosene dei cattivi esempi che ha spesso accanto a sé .

Durante il secondo tempo di una partita del campionato Giovanissimi, il padre di uno dei ragazzini in campo scavalca la rete di recinzione e prende a ceffoni l’arbitro diciassettenne, mandandolo all’ospedale. Non è questa la notizia, anzi fino a qui saremmo nella tragica normalità. Quella dei genitori che considerano i figli un prolungamento del proprio ego e si ergono a difensori del buon nome della casata contro qualunque autorità costituita - insegnante, vigile, arbitro - osi lederne il prestigio con decisioni inopinate: un votaccio, una multa, un rigore non dato. Ma stavolta affiora una variabile imprevista: di fronte al padre che ha appena picchiato un adolescente in suo nome, il calciatore ragazzino scoppia in lacrime, si avvicina alla barella su cui giace l’arbitro e gli chiede scusa. Con una certa goduria provo a immaginare la scena: il padre manesco, impavido risanatore di torti, cerca lo sguardo del figlio per catturare i segnali della riconoscenza e dell’ammirazione, e invece in quegli occhi gonfi di pianto trova soltanto la ribellione che nasce dall’imbarazzo e dal disprezzo. 
Dicono che, nel bene e nel male, siamo come ci hanno fatto i nostri genitori, poi però la vita consegna queste storie di speranza. I cattivi esempi che si respirano in casa possono essere ribaltati da altri ambienti: la scuola, la squadra, la compagnia e, soprattutto, se stessi. Si nasce con il rispetto per gli altri già incorporato: il segreto sta nel non dimenticarsene quando si cresce. 

Nella foto, Massimo Gramellini


      

giovedì 28 agosto 2014

Ogni sabato la Serie B in mia compagnia su Tele Argento Modena


Visto il "rovente" clima radiotelevisivo che si respira a Bologna (con tanto di agguerrito mercato giornalistico fra un'emittente e l'altra: una rivalità che farà anche comodo ai dati di ascolto, ma che di certo non migliora la qualità con il moltiplicarsi dei vari salottini, oggi più che mai spezzettati e in guerra fra loro), dopo un anno torno volentieri in quel di Modena per occuparmi ancora una volta di Serie B. Modena e Carpi in particolare, senza però disdegnare qualche "velenosa" incursione sulle vicende del Bologna. 
Appuntamento ogni sabato su Tele Argento, canale 194 del digitale terrestre (visibile anche a Bologna), per la trasmissione "IN CAMPO CON MAINI"
Un grazie al collega Paolo Maini per avermi voluto in squadra (spendendo belle parole sulla mia professionalità e sulla mia ormai ventennale militanza nella redazione del Guerin Sportivo: toh, il curriculum ha ancora un suo peso...), per darmi la possibilità di parlare di calcio con... competente leggerezza (senza prendersi troppo sul serio, ma neppure senza abbandonarsi al rituale biscardiano della "polemica a ogni costo") e per non avermi subito chiesto (come mi sono sentito fare nella mia Bologna): quanti sponsor porti? 
Si parte sabato sera, 30 agosto, alle ore 20 (poi nel corso della stagione si tornerà al consueto orario delle 15) con Carpi-Livorno. 
Accanto a me Enrico Pifferi e Andrea Lolli, oltre all'esimio conduttore Maini (che a Caressa gli fa un baffo) e... a qualche bella fanciulla che smisterà sms e telefonate dei tifosi.
Poi nel corso della stagione potrà capitare di sentirmi su Radio City Modena e di magari di leggermi sul cliccatissimo sito curato e diretto da Paolo Maini, www.ParlandodiSport.it, dove spero di poter dare voce e spazio al calcio giovanile della nostra regione. 
Chi volesse darci una mano (leggi qualche soldino in cambio di pubblicità e visibilità), riceverà calorosa accoglienza! 
SI PARTE! SEGUITECI!!!!!



lunedì 5 maggio 2014

Ancora un omaggio alla serata in Valmarecchia

Ricevo (dall'amico Marco Morciano) e pubblico due foto del Convegno svoltosi in Valmarecchia. Con l'auspicio di una prossima edizione degna di quella interessantissima che ci ha visti protagonisti quest'anno.

Qui sono fra don Alessio Albertini e Marco Morciano



Ed ecco il tavolo completo dei relatori: da sinistra, don Alessio Albertini, il sottoscritto, Davide Cassani, Eraldo Pecci, Massimo Bonini e Lorenzo Amoruso


mercoledì 30 aprile 2014

Sabato 10 maggio: tutti in campo per Sergio Isabella!!!

No, impossibile che per sabato 10 maggio abbiate già preso impegni. Semplicemente perché ne avete già uno. Non ricordate? Date un'occhiata a questa locandina e vi verrà in mente!
Poche storie, niente scuse. Tutti (e dico tutti) allo Stadio Negrini di Castenaso, dove dalle ore 15 vecchi e nuovi amici di Sergio Isabella scenderanno in campo per dare (sigh...) spettacolo, ma soprattutto per promuovere ancora una volta la causa di Sergione e raccogliere fondi per lui e la sua splendida famiglia.
Primo annuncio. E continueremo a martellare duro!!!





mercoledì 23 aprile 2014

Sport con Gioia - Appuntamento lunedì 28 aprile a Pietracuta, ore 18

Otto anni dalla prima edizione di questo Convegno che mi fece conoscere persone davvero straordinarie, ovvero i dirigenti e gli allenatori della Junior Valmarecchia, bella realtà calcistica giovanile dell'entroterra riminese.
Otto anni che hanno fatto nascere un'amicizia spontanea. Perché ci siamo trovati a parlare di calcio usando lo stesso linguaggio e lo stesso approccio. Così da trasmettere ai ragazzi il valore e la bellezza dello stare insieme, del condividere una bella passione, dell'inseguire attraverso il sacrificio e l'impegno il successo sportivo e, perché no, del superare insieme gli inevitabili momenti di fatica, di difficoltà, di sconforto.
Tutto questo è SPORT CON GIOIA! Qualcosa di più di una semplice serata da condividere con persone straordinarie come Piero Gambuti, presidente della Junior Valmarecchia, e l'inarrivabile don Alessio Albertini. Quest'anno avremo testimonianze davvero significative da personaggi come Luca Pancalli, ex atleta paralimpico e apprezzato dirigente sportivo (attualmente presidente del Settore Giovanile e Scolastico della Figc), Eraldo Pecci, Giovanni Galli, Lorenzo Amoruso e il neo Ct della Nazionale iataliana di ciclismo Davide Cassani. Modera l'incontro (dettaglio trascurabile) il sottoscritto. Che dite: può bastare?
Appuntamento per lunedì 28 aprile, ore 18, presso il Teatro di Pietracuta (Rimini). Chi può, non manchi: e capirà perché da otto anni questo gruppo di amici trova sempre la voglia e il desiderio di ritrovarsi per parlare di calcio e di uomini...

      

mercoledì 9 aprile 2014

La Storia del Mondiale - 1938 Italia



I Leoni di Highbury si confermano sul tetto del mondo

La rosa della Nazionale italiana che partecipò al Mondiale 1938

Nel quadriennio che intercorre fra la seconda e la terza edizione della Coppa del Mondo, numerosi avvenimenti modificano radicalmente lo schermo su cui si proiettano le gesta degli eroi della domenica. Sino a quel momento il "superiority complex" connaturato nella mentalità degli inventori del calcio moderno, aveva loro impedito di giungere a misurarsi contro "i poveri mortali" in competizioni ufficiali. Ciò non aveva azzerato la volontà dei continentali di affrontare i bianchi maestri e di dimostrare loro quale fosse il livello ormai alto del football al di qua della Manica. Gli inglesi erano usciti sconfitti dal terreno di Madrid di fronte alle scatenate "Furie Rosse" nel maggio del 1929. Una battuta a vuoto che se da un lato non era riuscita scalfire la superbia dei britannici, dall'altro aveva ancor più rafforzato la sicurezza degli avversari nei propri mezzi. E fu proprio in quest'ottica che il 14 novembre 1934 gli Azzurri campioni del mondo salirono sino a Londra per sfidare la formazione con i tre leoni sul cuore. Teatro prescelto per la contesa fu lo storico impianto di Highbury, posto nella zona nord della capitale. Un terreno ormai mitico, tempio di quell'Arsenal che aveva iniziato il mondo - sotto l'illuminata guida di Herbert Chapman - all'adozione del "WM", il rivoluzionario sistema di gioco che pose le basi, alla fine degli anni Venti, per una profonda revisione tattica degli schieramenti. La contesa venne presentata nei rispettivi Paesi come la sfida del secolo: e per i tempi cui ci si riferisce, fu sicuramente l'appuntamento più clamoroso e significativo che potesse essere messo in scena. Fu anche il confronto tra le due formazioni più avanzate del periodo: su un fronte i difensori del "metodo", uomini temprati a ogni battaglia e tenaci assertori del gioco ragionato; su quello opposto i paladini del "sistema", che prevedeva un modulo doppiamente nuovo. Il "sistema" consentiva infatti un maggior spiegamento di forse offensive (un centravanti-ariete e due ali aperte sulle fasce ma pronte a chiudere al centro), ma contemporaneamente un fitto rimpolparsi della retroguardia: tre marcatori fissi sull'uomo con la conseguente abolizione dei due terzini, quello "volante" e quello "di posizione". Pochi, sino a quel giorno, avevano osato avventurarsi su campi di gioco britannici e nessuno ne era uscito salvo: nemmeno un pari era stato ottenuto dai temerari che avevano osato sfidare l'Inghilterra a Londra o a Manchester. I quotidiani inglesi, nella loro spavalderia, annunciarono che i beniamini locali avrebbero stravinto: uno di essi azzardò persino il punteggio: 10-0! 
E mai, come in quella occasione, il senso numerico del risultato venne capovolto dal significato morale dei novanta minuti. Nel primo quarto d'ora gli inglesi partirono di slancio, andando a segno ben tre volte con i fuoriclasse Brook (ala sinistra del Manchester City, detto "l'uomo del Nord" e Ted Drake, centrattacco dell'Arsenal inserito all'ultimo momento in squadra in sostituzione del titolare Tilson. Dopo soli tre minuti di gioco l'Italia aveva perso il condottiero della retroguardia, Luisito Monti, infortunatosi in uno scontro con lo stesso Drake. Le successive radiografie mostrarono poi chiaramente che l'oriundo si era procurato una frattura al piede sinistro. Rimasti in dieci uomini, gli Azzurri devono subire la tracotante manovra dei britannici, sfociata appunto nella tripletta del primo quarto d'ora. Già dopo trenta minuti i 60.000 di Highbury si accorgono che ciò che anima gli italiani è un furore davvero sacro, ai limiti dell'umano. Nella ripresa in nostri cominciano a mulinare come degli ossessi, mettendo in serissima difficoltà il reparto difensivo avversario, composto nella quasi totalità da giocatori dell'Arsenal. Nel giro di quattro minuti, fra il 58' e il 62', Giuseppe Meazza strabilia coloro che non lo conoscevano con due superbe realizzazioni, la prima di piede e l'altra di testa, riaprendo il risultato. Nonostante l'inferiorità numerica, il centrocampo azzurri si batte con cuore da leone: Attilio Ferraris IV è il leader del gruppo, Bertolini lo affianca da par suo e Ferrari cuce ogni azione di contropiede. L'altro protagonista della giornata è il portiere Carlo Ceresoli, alla sua seconda presenza in Nazionale, parando un penalty battuto bene da Brook con un plastico volo all'incrocio dei pali sulla propria destra. Al fischio finale i tifosi italiano presenti sugli spalti osannano gli eroi azzurri, uscti dal campo tra mille applausi e con la soddisfazione di aver tenuto in scacco un avversario qualificato per tutto il match.
L'impresa di Highbury dimostrò una volta di più la netta supremazia italiana nei confronti delle altre nazionali mitteleuropee, il cui corollario finale fu il trionfo nel terzo torneo della Svehla Pokal, che permise loro il successo finale nella manifestazione. Al contrario della precedente, quell'affermazione nel torneo a cinque squadre (oltre all'Italia, partecipavano Austria, Cecoslovacchia, Svizzera e Ungheria) fu poco sofferta. Se nel 1930 era stata necessaria la meravigliosa domenica di Budapest (5-0 ai magiari con tripletta di Meazza), in questa occasione non ci fu bisogno di exploit particolari, tanta fu la facilità con cui Vittorio Pozzo condusse i suoi ragazzi al traguardo conclusivo. Con quattro vittorie nelle prime quattro gare, gli Azzurri posero un'ipoteca decisiva sulla Coppa: a cadere di fronte a essi furono Svizzera (due volte), Cecoslovacchia e Ungheria. La prima battuta a vuoto risalì al già citato febbraio 1934 con l'Austria (2-4 a Torino), ma già dall'incontro seguente due reti di Piola al Prater sancirono la conquista del trofeo. Il 24 novembre 1935 cominciò la straordinaria serie positiva della squadra, conclusasi il 12 novembre 1939, cinque anni meno dodici giorni più avanti: una sequenza eccezionale di risultati, condita dal successo olimpico del 1936 e da quello iridato a Parigi del 1938. Solamente la grande Ungheria di Puskas, Hidegkuti e Kocsis, l'Aranycsapat, poté superare questo record all'inizio degli anni Cinquanta. Il calendario pose in programma, nel 1936, le Olimpiadi di Berlino. La Germania hitleriana organizzò i Giochi nel segno della razza ariana: in tutti gli sport l'imperativo era uno solo, vincere l'oro. E quindi, anche nel calcio, questa delicata missione venne affidata ai giovani tedeschi. Da quando la Fifa aveva istituito la Coppa del Mondo, la kermesse a cinque cerchi era notevolmente scaduta di tono:  a essa, per regolamento, avrebbero potuto prendere parte unicamente formazioni composte da calciatori dilettanti. O per lo meno da "non professionisti". Per rispettare le norme vigenti, le nazioni che decisero di iscriversi al torneo dovettero ricorrere ai più disparati artifizi. Il più comune dei quali fu quello di registrare i giocatori come studenti, impiegati o addirittura disoccupati. in funzione del Mondiale del 1938, L'Olimpiade si rivelò fondamentale. Non tanto per il risultato finale in sé, quanto perché a Berlino si poterono individuare le linee di tendenza che avrebbero influenzato la competizione iridata due anni più tardi. La Nazionale italiana, fondata su un nucleo di giovani promesse e di elementi mediocri, attuò una sorta di schema contropiedistico. Alcuni degli pseudo-studenti trionfatori (Foni, Rava, Locatelli) convinsero Pozzo delle proprie qualità al punto che ben presto riuscirono a entrare in pianta stabile nella rosa della prima squadra. 
Nello stesso anno, la Guerra civile spagnola bloccò ogni attività al di là dei Pirenei. Dal 1936 al 1940 a Madrid e Barcellona non si parlò più di pallone: i vari Zamora, Ciriaco e Quincoces, si trovarono improvvisamente tagliati fuori dai circuiti internazionali. Il solo Isidro Langara, implacabile sfondatore di reti militante nell'Oviedo e nella nazionale in maglia rossa, continuò la propria vita calcistica senza soluzione di continuità trasferendosi in Argentina per difendere i colori del San Lorenzo de Almagro. Una formazione che, grazie alle sue reti, balzò in un sol colpo fino ai piani più alti del fútbol rioplatense. A proposito: l'Argentina decise di ritirarsi dal Mondiale nel momento stesso in cui seppe della scelta della Fifa di assegnare l'organizzazione della fase finale della Coppa del Mondo alla Francia. Il ricordo della defezione in massa degli europei aveva convinto i soloni della massima federazione a venir meno al principio di alternanza fra Europa e Sudamerica. Fu questo il primo omaggio a Jules Rimet, padre della Coppa. Sempre al palo l'Uruguay, che non aveva ben digerito il passaggio al professionismo, fu il solito Brasile a tenere alto il vessillo latinoamericano. Per non fallire una terza volta l'obiettivo mondiale, i dirigenti della federcalcio brasiliana spesero ogni energia possibile (e milioni di contos, la moneta in circolazione all'epoca) nell'allestimento della spedizione in terra francese: dall'organizzazione del viaggio alla selezione dei ventidue convocati della rosa iridata. Fortuna aveva voluto che proprio un paio di anni prima fosse stato composto il dissidio intercorrente tra le varie federazioni statali, con quelle - potentissime - di Rio de Janeiro e di San Paolo in prima fila. Flamengo, Vasco da Gama, Palestra Italia (poi ribattezzata Palmeiras quando il governo anti-totalitarista decise di abolire la denominazione d'ispirazione italo-tedesca negli stemmi del club) e São Paulo FC si trovarono finalmente riunite in un'unica bandiera al servizio comune della Seleção. A pochi mesi dall'apertura della competizione conclusiva un drammatico evento mutò il volto tecnico e numerico del torneo. Il clima politico dell'Europa viveva già la contraddittoria realtà che di lì a poco sarebbe sfociata nel secondo conflitto mondiale: le mire espansionistiche del Terzo Reich trovarono così un primo sfogo nell'Anschluss, l'annessione armata dell'Austria, ribattezzata "Östmark" e degradata al rango di semplice "Gau" (distretto o circoscrizione). Vienna, che solamente vent'anni prima era la capitale dell'Impero Asburgico, non rimase più che un capoluogo di regione. Un colpo mortale sferrato all'orgoglio di un popolo i cui figli erano stati geni dell'arte e della scienza. Come d'ovvio, la Nazionale austriaca sparì dalla circolazione e il campionato viennese si trasformò in uno degli innumerevoli gironi del massimo campionato tedesco. I fenomeni militanti in Austria, Admira e Rapid, continuarono a sfidarsi per la supremazia locale con qualche frequente digressione nelle finali per il titolo sovranazionale: fu proprio il Rapid, nel 1941, ad aggiudicarsi lo scudo che premia i "Deutsche Meistern". Alcuni dei componenti il team austriaco finirono con l'innervare la formazione di Sepp Herberger, ma non riuscirono a migliorarne il gioco: loro, abituati da sempre al "metodo", non poterono integrarsi a dovere in una squadra che da ormai un decennio metteva in pratica il "sistema". Per sostituire l'Austria, venne invitata l'Inghilterra, ma i britannici rifiutarono cortesemente l'invito, adducendo a giustificazione il fatto di non avere avuto il tempo di allestire una selezione all'altezza della situazione. Qualche anno prima, nel 1936, era scomparso Hugo Meisl, creatore del "Wunderteam". Chi pianse alla sua morte non poteva sapere che forse era stato meglio così: il Grande Maestro non avrebbe sopportato un tale scempio.

La finale decisa dalla coppia Piola-Colaussi

Per raggiungere il grado di concentrazione necessario per affrontare la finalissima della Coppa del Mondo, Vittorio Pozzo fa ripercorrere ai suoi ventidue ragazzi il cammino inverso a quello precedente la semifinale di Marsiglia contro il Brasile: dalla costa mediterranea, il gruppo azzurro si riporta riporta a St. Germain, tranquillo e ridente quartiere parigino, dove la squadra aveva trovato alloggio nei giorni antecedenti il quarto contro i padroni di casa. La comitiva lascia Marsiglia già la sera stessa della partita contro i sudamericani, muovendosi ovviamente con quell'aereo di linea che era stato già prenotato dai dirigenti brasiliani, convinti in partenza che il veivolo sarebbe stato loro utile per raggiungere la capitale, luogo della gara decisiva. Ancora una volta, l'arroganza verdeoro era stata punita dai fatti, ancora una volta la Seleção vedeva sfumare il sogno. Nel corso della loro storia, Italia e Ungheria si erano già incontrate sedici volte a partire dal 6 gennaio 1911, seconda partita (prima in trasferta) della neonata selezione italiana, che all'epoca vestiva una camiciola bianca, meno costosa rispetto a una qualsiasi colorata. Il bilancio aggiornato parlava in netto favore dei nostri, capaci di imporsi sugli avversari in otto occasioni contro quattro affermazioni dei rivali magiari. Il ciclo positivo per noi, tuttavia, si era aperto solamente nel 1928, quando allo stadio del PNF di Roma il trio d'attacco del Torino Baloncieri-Libonatti-Rossetti aveva trascinato alla vittoria i compagni, dopo un doppio vantaggio magiaro firmato da Kohut e Hirzer. Il successivo successo fu quello, notissimo, dell'11 maggio del 1930 (il ritorno del precedente match valido per la Coppa Internazionale), in cui ebbe magica consacrazione a stella mondiale il nome cristallino di "Balilla" Giuseppe Meazza. A soli vent'anni, Meazza strabiliò il raffinato pubblico di Budapest, abituato ad applaudire geni del pallone come lo stesso Hirzer, Markos e Takacs II. Schierato da centravanti puro, al suo quarto gettone in azzurro il Balilla andò a segno tre volte (una nel primo tempo e due nella ripresa), prima delle reti conclusive di Magnozzi e Faele Costantino. Mai la Nazionale italiana aveva vissuto una giornata tanto gloriosa: non solo la "Svehla Pokal" poteva approdare in Italia; ciò che più contava era il fatto che finalmente il football nostrano aveva reperito al proprio interno le energie e la volontà per andare a dettare legge in casa altrui. i tempi in cui i rossi riuscivano a spadroneggiare sulle nostre formazioni, si erano allontanati e l'ultima vittoria magiara risaliva al 18 gennaio 1925: due a uno con reti di Poldino Conti, Spitz e Takacs II. Tredici anni abbondanti di imbattibili, dunque: non poteva esserci migliore occasione per mantenere fresco questo primato. A proposito di imbattibilità: da ben 22 incontri gli azzurri non conoscevano sconfitta. Dopo la conquista della Coppa del Mondo 1934, la sola Cecoslovacchia era riuscita nell'impresa di superare la compagine diretta da Vittorio Pozzo in quella che venne dipinta come una sorta di rivincita del match di Roma. Da quel giorno Svizzera, la stessa Ungheria, Stati Uniti, Giappone, Norvegia, Austria, la medesima formazione boema, Belgio, Jugoslavia, Francia e Brasile avevano ceduto - spesso con l'onore delle armi - alla dirompente vitalità dell'undici italiano. Solamente l'Inghilterra, nel periodo giugno 1934-giugno 1938, aveva saputo sconfiggere gli azzurri, oltre alla Cecoslovacchia nell'incontro appena ricordato: era accaduto a Highbury, nella leggendaria partita in cui Ferraris IV, Monti e Bertolini avevano fatto delirare la stessa folla londinese. 
Nei tre giorni di attesa, la banda visse in pace e relax a St. Germain e quando si presentò allo stadio di Colombes, nel primo pomeriggio di domenica 19 giugno, i volti erano tutti distesi, sorridenti, improntati alla serenità più spiccata. Dal pullman che li aveva condotti allo stadio, Piola, Colaussi, Meazza e compagnia uscirono alla spicciolata, intrattenendosi con giornalisti, fotografi e curiosi. Al contrario gli ungheresi, consci della difficoltà insita nello scontro che di lì a poco li avrebbe visti protagonisti, scesero dal pullman senza dare corda a nemmeno un addetto ai lavori, rifugiandosi negli spogliatoi almeno due ore prima del fischio d'inizio. Rispetto alla semifinale contro il Brasile, Pozzo mantenne invariato lo schieramento: Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari e Colaussi. Un undici perfettamente collaudato, integrato in ogni reparto da uomini affidabili e capaci di trovarsi praticamente a occhi chiusi. Karoly Dietz dovette invece ricorrere ad altri componenti la "rosa" per allestire la formazione da mettere in campo. Era venuto a mancare il centromediano Turay, sulla breccia da numerosi anni, che si era infortunato nella semifinale contro la Svezia; venne sostituito per ragioni tecniche il terzino di posizione titolare Koranji per fare posto a Polgar, più portato al combattimento che allo stile; uscì di squadra la mezzala goleador Toldi e con la sua maglia giocò l'altro interno Vincze (con Zsengeller spostato a sinistra), sensibilmente migliore del collega nelle fasi di raccordo e copertura. 
Arbitro designato fu Georges Capdeville: un omaggio ai francesi, splendidi anfitrioni durante tutto il corso del Mondiale. Cosci delle proprie capacità, gli Azzurri si gettano immediatamente all'attacco, minacciando più volte la porta custodita da Szabo. Già al sesto minuto l'Italia passa in vantaggio: la manovra si snoda partendo da Serantoni, che raccoglie un pallone qualche metro dietro la linea mediana del campo, si libera di un avversario e appoggia su Biavati. Questi si guarda attorno e opta per invitante lancio sulla destra a Piola: il centravanti, leggermente decentrato, crossa lungo per Colaussi che sta arrivando di gran carriera dalle retrovie. La botta al volo dell'ala giuliana, secca e precisa, non perdona. 

Una delle due reti di Piola

Trascorrono solo due minuti e i magiari pareggiano. Su una doppia respinta di testa dall'interno dell'area si avventa "Giurka" Sarosi, che penetra nei sedici metri ma si allunga un po' troppo la sfera che finisce sui piedi di Andreolo. Il rinvio dell'oriundo è sbilenco e mette in condizione Zsengeller di battere a rete di prima intenzione. Anche il suo tiro, però, risulta impreciso, ma si trasforma in una specie di traversone che Foni sfiora di testa. Il pallone cade proprio davanti a Titkos che non si fa pregare due volte per sferrare un poderoso diagonale su cui Olivieri nulla può. Come niente fosse, la squadra azzurra riprende a imporre il proprio gioco: Piola colpisce un palo correggendo una corta respinta di Szabo su ciabattata di Giovanni Ferrari e al 16' l'orchestra azzurra sfodera la più bella ed entusiasmante tessitura apprezzata in questo Mondiale. Biavati affonda sulla sinistra, tenta un cross alto ma il pallone rasoterra finisce fra i piedi di Piola. Questi tocca a Ferrari che, a non più di sette-otto metri dalla porta preferisce non tirare e riapre sulla destra, dove sta accorrendo Andreolo. Il quale scarta un paio di avversari in dribbling e rimette al centro per Piola: liberissimo, egli ha tutto il tempo stoppate e silurare all'incrocio dei pali. Una lunghissima manovra dentro l'area senza che nessun magiaro sia riuscito a toccare la sfera! Diciannove minuti più tardi la partita sembra giungere alla svolta decisiva: Colaussi si fionda sulla sinistra, ingaggia uno stupendo duello in velocità con un avversario e, giunto all'interno dell'area, lascia partire un destraccio a effetto che inganna Szabo. 
La ripresa si apre ancora nel segno dell'Italia: Biavati colpisce un secondo palo con la complicità del portiere ungherese, ma al 25' i danubiani imbastiscono una bellissima azione conclusa da Sarosi con una bordata imparabile dal limite che frutta il 2-3. La partita è comunque saldamente in mano ai nostri, che sanciscono la netta superiorità dimostrata dieci minuti dopo con il quarto gol, secondo personale di Piola, che raccoglie un centro teso di Biavati (ancora lui!) e infila l'angolino basso. È l'apoteosi: rispetto a quattro anni prima, l'Italia dimostra di non aver bisogno del nerbo costituito dagli oriundi (solamente Andreolo non è nato in Italia) e convince tutti con il bel gioco e la tecnica. La bacheca della Figc si arricchisce di una seconda Coppa del Mondo: nessuno lo può immaginare, ma quello rimarrà il titolo più "lungo" della storia. Quattordici mesi dopo le truppe hitleriane travolgono il confine polacco e scatenano la Seconda Guerra Mondiale. la manifestazione, come tutte le altre competizioni sportive, cade nell'oblio. Si ripresenterà dodici anni dopo, con un altro nome, quello più meritato: Coppa Rimet.



Il capocannoniere - Leonidas, diamante nero


Una delle tante rovesciate di Leonidas, il suo pezzo forte



La sua stella salì allo zenit proprio nel momento in cui il bomber dagli occhi azzurri, Arthur Friedenreich, conosceva la tristezza della parabola discentente. Ai suoi tempi, il Brasile poté far conto su tre idoli: il neodittatore Getulio Vargas, il poeta Orlando Silva e lui medesimo, Leonidas da Silva, un moretto umile di nascita e di costumi. Crebbe nel quartiere di São Cristovão, a Rio de Janeiro. Fin da ragazzino dimostra di amare il pallone dedicandosi all'attività tradizionale dei giovincelli cariocas: il futebol di spiaggia. Di fronte a casa sua, in Fonseca Lima, c'è la sede di una squadretta rionale, in cui si incorpora prima di passare al São Cristovão, settore giovanile. Si trasferisce poi al Barroso, al Sul Americano e al Sirio Libanes, dove si esibisce anche come giocatore di basket grazie alla sua formidabile elevazione. Viene quindi ingaggiato dal Bonsuccesso, (per due anni) ed è da qui che si innalza la sua fama. 
Nel 1932, a diciannove anni, viene selezionato per la Seleção che deve disputare in Uruguay la Copa Rio Branco. Gli emissari del Penarol di Montevideo lo notano e lo vogliono con loro a tutti i costi: con la casacca giallonera gioca solamente sedici partite tra maggior novembre del 1933, mettendo a segno undici reti. Un infortunio a una rotula lo tiene fermo per qualche mese prima che si ripresenti in Brasile. Entra nel Vasco e successivamente passa al Botafogo. Di lì, quindi, al Flamengo: è con la maglia rossonera che ottiene i maggiori successi. Si laurea campione carioca nel 1936, 1937 e 1939, condendo i titoli con il trono di capocannoniere conquistato nel 1938, 1939 e 1940 (43 gol in quest'ultimo anno). È la sua grande stagione: al Mondiale del 1938 ottiene la palma di "melhor artilhero" con otto reti prima di andare a guadagnare un po' di valuta la Boca Juniors, che lo paga profumatamente. Ma a Buenos Aires soffre di saudade, soprattutto d'inverno: il freddo gli è inviso e sul Rio de la Plata non resiste più di qualche mese. 
Torna in patria, questa volta a San Paolo: e con il club principale della città è "pentacampeão" paulista 1943-1945-1946-1948-1949. All'annuncio del suo rientro, ottomila nuovi soci staccano la tessera del club e al match del suo debutto il botteghino registra la bellezza di 72.218 paganti. Torna in Nazionale, ma ne esce ben presto per un equivoco con il selezionatore Flavio Costa: termina la carriera con 25 reti in altrettante presenze in aurifere. Abbandona nel 1950, a trentasette anni, con qualche acciacco di troppo. Lo avevano soprannominato "homen de borracha" (l'uomo di gomma) per la sua capacità di assorbire i colpi degli avversari, ma fu anche "Diamante preto" (il diamante nero) e "l'uomo che gioca con la Bibbia del calcio sotto il braccio". Appese le scarpe al chiodo, si affermò nel giornalismo, diventando presto commentatore della radio panamericana e di una televisione paulista. È morto il 24 gennaio 2004.                                 

I RISULTATI

Ottavi di finale

4-6-1938 - Parigi
Svizzera-Germania 1-1 dts
29' Gauchel (G), 43' Abegglen III (S)
9-6-1938 - Parigi (ripetizione)
Svizzera-Germania 4-2
8' Hahnemann (G), 22' Lörtscher (S) aut., 41' Walaschek (S), 64' Bickel (S), 75' e 78' Abegglen III (S) 
5-6-1938 - Tolosa
Cuba-Romania 3-3 dts 
38' Covaci (R), 42' Socorro (C), 59' Baratki (R), 88' Maquina (C), 98' Dabay (R), 101' Maquina (C)
9-6-1938 - Tolosa (ripetizione)
Cuba-Romania 2-1
9' Dobay (R), 65' Tunas (C), 80' Sosa (C)
5-6-1938 - Le Havre
Cecoslovacchia-Olanda 3-0
96' Kostalek, 111' Nejedly, 119' Zeman
5-6-1938 - Parigi
Francia-Belgio 3-2
1' Veinante (F), 12' Nicolas (F), 38' Isemborghs (B), 69' Nicolas (F)
5-6-1938
Ungheria-Indie Olandesi 6-0
18' Kohut, 23' Toldi, 28' Sarosi, 35' e 52' Zsengeller, 77' Toldi
5-6-1938 - Strasburgo
Brasile-Polonia 6-5 dts
18' Leonidas (B), 22' Wilimowski (P) rig., 25' Romeu (B), 44' Peracio (B), 50' F. Scherfke (P), 59' Wilimowski (P), 72' Peracio (B), 88' Wilimowski (P), 93' e 102' Leonidas (B), 107' Wilimowski (P)
5-6-1938 - Marsiglia
Italia-Norvegia 2-1 dts
2' Ferraris II (I), 83' Brustad (N), 94' Piola (I)
Svezia-Austria non disputata
qualificata la Svezia per rinuncia dell'Austria

Quarti di finale


Meazza stringe la mano al capitano della Francia Mattler

12-6-1938 - Parigi
Italia-Francia 3-1
9' Colaussi (I), 10' Heisserer (F), 52' e 72' Piola (I)
12-6-1938 - Antibes
Svezia-Cuba 8-0
15' H. Andersson, 32' Nyberg, 34', 41' e 52' Wetterström, 54' H. Andersson, 60' Nyberg, 89' Wetterström 
12-6-1938 - Lilla
Ungheria-Svizzera 2-0
42' Sarosi, 68' Zsebgeller
12-6-1938 - Bordeaux
Brasile-Cecoslovacchia 1-1 dts
30' Leonidas (B), 64' Nejedly (C) rig. 
14-6-1938 - Bordeaux (ripetizione)
Brasile-Cecoslovacchia 2-1
30' Kopecky (C), 56' Leonidas (B), 63' Roberto (B)  

Semifinali


I capitani di Italia (Meazza) e Brasile prima del match

16-6-1938 - Parigi
Ungheria-Svezia 5-1
4' pt Nyberg (S), 18' Eriksson (S) aut., 26' Titkos (U), 38' Zsengeller (U), 61' Sarosi (U), 77' Zsengeller (U) 
16-6-1938 - Marsiglia
Italia-Brasile 2-1
55' Colaussi (I), 60' Meazza (I) rig., 87' Romeu (B)  

Finale 

19-6-1938 - Parigi
Italia-Ungheria 4-2
Italia: Olivieri, Foni, Rava, Serantoni, Andreolo, Locatelli, Biavati, Meazza, Piola, Ferrari, Colaussi.
Ungheria: Szabo, Polgar, Biro, Szalay, Szücs, Lazar, Sas, Vincze, Sarosi, Zsengeller, Titkos.
Arbitro: Capdeville (Francia). 
Reti: 5' Colaussi (I), 7' Titkos (U), 16' Piola (I), 35' Colaussi (I), 70' Sarosi (U), 82' Piola (I).

giovedì 20 marzo 2014

La crisi del calcio italiano nell'analisi del maestro Mura

Inutile piangersi addosso. La crisi del calcio italiano è sotto gli occhi di tutti. Gianni Mura, maestro del giornalismo sportivo italiano, prova a spiegarci perché ci siamo ridotti così e come se ne può uscire. Il tifoso legge, il dirigente dovrebbe prendere appunti e provare ad agire di conseguenza.   
Sarà l'approssimarsi del mondiale, sarà che la pazienza è agli sgoccioli, sarà il successo del film di Sorrentino, fatto sta che in tanti si sono accorti della povertà media del gioco del calcio in Italia. Media perché qualcosa da salvare c'è: la Juve-rullo (non sempre), la Roma (spesso), la Fiorentina finché non è rimasta senza attacco, qualche sprazzo del Parma, del Torino (non di recente), della Samp (da quando c'è Mihajlovic), dell'Udinese. Ma il salvabile è sempre troppo poco, rispetto a quel che c'è da buttare. Ormai, ingozzati di bruttezza, ci basta una bella azione rasoterra o un tiro nel sette per sentirci sazi.
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Il 38% di italiani che gioca in A è una campana a martello per Prandelli, che sinceramente non è da invidiare. Ma il livello del gioco riguarda tutti: chi lo organizza e chi lo paga, chi lo gioca e chi lo guarda. La cosa più grave non è che siamo fermi, è che siamo tornati indietro, e non può dipendere solo dal massiccio arrivo di stranieri. Dalla qualità, semmai.
C'è stato un tempo non lontano in cui anche le squadre di provincia avevano autentici campioni: l'Udinese Edinho e Zico, il Cagliari Francescoli e Fonseca, il Pescara Junior e Sliskovic. Oggi molte squadre, le milanesi in particolare, sono imbottite di stranieri di discutibile livello. Perché si gioca male? Tentativo di risposta per punti.
atalanta interATALANTA INTER
1. La crisi economica incoraggia il partito dei piccoli passi. Non possiamo permetterci Messi o CR7. Giusto. Allora, tanto varrebbe lavorare meglio sui vivai e costruirsi il buon giocatore in casa, come sempre s'è fatto fino agli anni ‘90. Questo vale per giovani italiani e stranieri.
2. Gli allenatori di A e B sono in perenne discussione, bastano due o tre risultati storti per far traballare una panchina. Da qui una scarsissima voglia di rischiare, da qui un atteggiamento tattico che mira più a bloccare il gioco altrui che a imporre il proprio. Da qui un infoltimento di centrocampo e difesa, la solita tonnara, sperando nel contropiede buono. Il catenaccio, scacciato dalla porta, è rientrato dalla finestra. Si gioca, anche tra squadre di pari rango, per beccare un gol in meno e non per farne uno in più. Il catenaccio, bisogna anche saperlo fare. Quanti contropiede in superiorità numerica abbiamo visto sfumare per imprecisione nell'ultimo passaggio?
Roma - Calcio - vittoria giallorossaROMA - CALCIO - VITTORIA GIALLOROSSA
3. Il calendario troppo fitto rende praticamente impossibile un serio allenamento. In compenso, le rose molto più vaste dovrebbero suggerire un'alternanza forte, ma poi finisce che giocano sempre gli stessi, con pochi ritocchi. E così coi primi caldi ci sono giocatori già bolliti e altri freschissimi, perché poco usati. Questo vale per le squadre impegnate in Europa. Le altre non hanno giustificazioni.
4. È tramontata la figura dell'allenatore-maestro (come Liedholm, come Bagnoli). Oggi è un gestore di risorse umane, non ha tempo né voglia di insegnare, anche i fondamentali se occorre, a ragazzi che si presentano (e sono stolidamente retribuiti) come fossero già "imparati".
5. Spagna-Italia non è stata solo una lezione di tecnica, ma di velocità e di condizione atletica. Di ritmo, in una parola sola, che in Italia molte squadre abbassano e poi, fuori d'Italia, non sanno reggere. Strano, in un periodo in cui tutto s'è sacrificato al muscolo, a partire dalla tecnica e della leggerezza. Strano ma vero.
NAPOLI ROMA CALLEJONNAPOLI ROMA CALLEJON
6. Il clima. Il nostro continua a essere cupo, in stadi semideserti che non invogliano a grandi recite. Ma dove sono i grandi interpreti? Il nostro è il calcio delle puncicate, dei bomboni, dei cori razzisti o antisemiti, delle simulazioni, degli abbracci o dei cazzotti in area. È un calcio che ignora il concetto di festa, di allegria. La bellezza gli è estranea. Oppure è liquidata come merce per gonzi, per sognatori.
7. La bellezza non è necessariamente un colpo di tacco, un gol a palombella o con una botta da 30 metri, o due dribbling di fila. È nel coraggio, nella lotta, nella dignità, nella lealtà, nella fantasia, nell'armonia della manovra, nella sorpresa di un gesto. Ma è, alla base, nel saper fare il proprio mestiere. Saper cosa fare di un pallone tra i piedi.
8. Le pay, che esaltano lo spettacolo anche quando non c'è, sono un boomerang. Aprono finestre su altri campionati. Scopriamo che si gioca meglio altrove. Notiamo un altro modo di giocare, altro pubblico, altro spirito. Eppure i procuratori hanno potere anche lì, anche lì nessuno gioca per perdere e conta il risultato. Qui si sente molto parlare di filosofia e di progetti, ma si fatica a vederne l'ombra. Ci vuole tempo. C'è tempo?
9. Si parla molto di nuovi stadi, ma se gli attori non sanno recitare restano guitti anche nel miglior teatro del mondo. Al di là della partita giocata, il calcio in Italia è moviola, arbitri, aiutini e aiutoni, insulti, permalosità. Ognuno guardi in casa sua e di quella al massimo parli. Così non circolano idee, si resta nella palude della banalità. Che si discuta di bellezza è già qualcosa. Non so quanto durerà l'eventuale dibattito. Poco, penso. E comunque la tessera di aderente al gruppo dei mendicanti di bellezza (la definizione è di Eduardo Galeano) me la tengo stretta.
Articolo che Dagospia ha ripreso da Repubblica 

martedì 4 marzo 2014

Viareggio Cup Story - 10a puntata (1996-2000)



1996 – BRESCIA

Trionfa il sano vivaio autoctono di provincia. Perché in finale non c'è solo il Brescia vincitore dei vari Baronio, Diana, Pirlo, Bonazzoli e Campolonghi (e del demiurgo Adriano Cadregari), ma anche il Parma di Buffon (strepitoso), Arioli e Barone. Roba per palati fini. Alla fine risulta però decisiva la classe operaia di Stefano Bono, che all'epoca alternava il calcio al lavoro in fabbrica e che si è ritagliato un'onesta carriera in C. Perfino il Trap lo elogia: “Oggi gli allenatori cercano giocatori così”. Completa la mazurka di periferia il Cesena, rivelazione del torneo che si ferma in semifinale. Il meglio arriva dai difensori esterni: a destra, Gianluca Zanetti (implacabile in marcatura e dotato di tiro potente dalla distanza); a sinistra, Juri Tamburini, fluidificante inarrestabile. Piace anche l'Atalanta dell'eclettico Morfeo e dei gemelli Zenoni.

Brescia-Parma 3-1
Brescia: Rigamonti, Diana, Forlani, Baronio, Archetti, Borra, Bono (43' st Maffeis), Faini, Bernardi (33' st Pirlo), Tagliani, Campolonghi.
Parma: Buffon (43' st Monica), Scipioni, Pinton, Manzani, Maccini, Bolla, Magnani, Arioli (26' st Zannoni), Triuzzi, Barone, Piro (45' pt Cardinale).
Arbitro: Trentalange di Torino.
Reti: 21' pt Bono (B), 45' Campolonghi (B); 13' st Triuzzi (P), 20' Baronio (B).

1997 – BARI

Altro scatto degli organizzatori, le squadre passano da 24 a 32. Ma l'allargamento ha effetti talvolta devastanti per le casse (e la credibilità internazionale) della Coppa Carnevale. Succede così che il Viareggio (dove gioca Davide, figlio di Marcello Lippi) elimina già nella fase eliminatoria la Fiorentina per la miglior differenza-reti. Fuori pure Manchester Utd (dove gioca Phil Neville), Ajax, Werder Brema, Borussia Dortmund ed Espanyol, con tanti saluti a cotanto pedigree. Si sfiora il ridicolo con la presunta fuga d'amore del ghanese Kwaitoo, terzo portiere dei Goldfields. Nel frattempo il trofeo prende la strada del Sud, 22 dopo il successo del Napoli. La spunta il Bari di Nicola Legrottaglie che in finale supera di misura un Torino di qualità superiore, vedi la presenza di Sommese (migior giocatore del torneo, Di Donato e, soprattutto, Pellissier). Match-winner, Antonio Bellavista, finito purtroppo nelle cronache giudiziarie dell'ultimo calcioscommesse.

Bari-Torino 1-0
Bari: Rossi, Lepri, Paris (31' pt Minciotti), Sibilano, Legrottaglie, Macera, Chisena, Bellavista, Campo (27' st Miano), Cardascio, Giometti (46' st Bianco).
Torino: Paoletti, Mercuri, Malagò (28' st Varano), Lo Gatto, Longo, Corallo, Sommese (21' st Tiribocchi), Di Donato, Bernardi, Grauso (14' st Andreotti), Pellissier.
Arbitro: Bazzoli di Merano.
Rete: 13' st Bellavista.

1998 – TORINO

Due testimonial d'eccezione alla cerimonia d'apertura: Pippo Inzaghi, che legge il giuramento, e Andrea Bocelli. Nota stonata, invece, l'assenza di Michel Platini che non si presenta a ritirare il Premio “Scirea” assegnatogli dal comitato organizzatore. Torneo dominato dal Torino di Claudio Sala che chiude imbattuto (cinque vittorie in sette incontri), forte di ragazzi dall'avvenire assicurato come Comotto, Mercuri, Semioli, Alessi, Tiribocchi e Pellisier. Dopo 16 anni torna in finale una formazione straniera: ma l'Irineu è davvero poca cosa e se arriva in fondo è anche grazie ad alcuni svarioni degli avversari, non ultimo quello del Manchester Utd che nel girone eliminatorio perde a tavolino proprio contro i brasiliani (battuti sul campo 1-0) per aver schierato diversi giocatori senza i necessari documenti di riconoscimento. Nell'Irineu si segnala però un attaccante veloce e con fiuto del gol, Esquerdinha, che verrà in seguito acquistato dal Lecce.

Torino-Irineu 2-0
Torino: Paoletti, Comotto, Corallo, Lazzeri, Mercuri, Caponi, Semioli, Grotto, Alessi (39' st Negro), Tiribocchi (43' st Friso), Pellissier (40' st Bisesi).
Irineu: Roberto, Cris, Elias, Garuva, Donizete (38' st De Rosa), Kei, Ceara, Betinho, Marcelinho (6' st Ramirez Coelho), Esquerdinha, Ozinei.
Arbitro: Ceccarini di Livorno.
Reti: 31' st Alessi rig., 36' Pellissier.

1999 – MILAN

Che fosse l'anno del Milan (che non centrava il successo al Viareggio dal 1960), lo si era intuito già nella partita inaugurale della Coppa Carnevale, vinta proprio dai rossoneri per 4-0 contro il Bayern Monaco, con gol-lampo (record assoluto) dopo 15” di Aliyu, che pochi giorni prima aveva debuttato in Serie A a Bologna. Per la squadra di Tassotti, messa in difficoltà solo dal Parma del bomber Kader (con 6 reti capocannoniere del torneo) nel girone eliminatorio, è un crescendo implacabile. Fra le sue vittime anche l'ottima Lazio (dove si segnala il portiere Concetti, miglior numero uno della manifestazione), sconfitta in semifinale con gol di Florean. L'ultimo ostacolo, il sorprendente Varteks (chiamato all'ultimo momento al posto della Stella Rossa di Belgrado), presenta qualche insidia per via delle numerose assenze (Vitali, Nicoletti, Florean e Contini squalificati, più Rossetti infortunato) che indeboliscono il Milan. Croati vicini al gol con Posavec (traversa su punizione a due in area), poi la girata decisiva di Agazzone. Per la gioia del presidente Berlusconi.
Milan-Varteks 1-0
Milan: Passoni, Cavaliere, Bonomi, Rinaldini, Beloufa, Ferri, Agazzone, Furlanetto, Gasparetto, Budel, Aliyu (5' st Panno).
Varteks: Sokac, Klemencic, Tukser, Cikovic (24' st Obadic), Sklepic, Skpak, Cingel (23' pt Vitkovic), Safaric, Horvat, Posavec, Grabant.
Arbitro: Treossi di Forlì.
Rete: 30' st Agazzone.

2000 – EMPOLI

Le squadre partecipanti salgono a quaranta, di cui quattordici all'esordio assoluto. Rubano l'occhio diversi ragazzi di talento: Tavano e Moretti della Fiorentina; Maresca, Gasbarroni e Sculli della Juventus; Paolo Cannavaro del Parma; Amelia, Blasi e D'Agostino della Roma; Pinzi e Berrettoni della Lazio. Mentre il Bari, dagli ottavi, cala l'asso-Cassano: ma è proprio un errore dal dischetto di FantAntonio, nei quarti persi ai rigori contro la Fiorentina, a fermare la corsa dei pugliesi. Chiude terzo il Campinas, club brasiliano presieduto da Antonio Careca, dove s'impone l'attaccante Jeda che farà poi carriera in Italia (oggi è al Novara). Zitto zitto, arriva in fondo l'Empoli del bravo Luca Cecconi, dopo essere entrato negli ottavi ripescato fra le migliori seconde. Ha il miglior attacco del torneo (Porro, con sei reti, risulta il capocannoniere), prospetti di valore (vedi Marchionni, Cribari, Capuano, Moro e Del Nero), ma nel derby-finale con la Fiorentina pesa la direzione poco lucida di Cesari.

Empoli-Fiorentina 2-1
Empoli: Tommei, Moro, Capuano, Volpe, Bonatti, Cribari, Del Nero (34' st Coppola), Tancik, Marchionni (42' st Belluomini), Fusi, Porro (46' st Mastronunzio).
Fiorentina: Passarini, Musso, Moretti, Sorbino (14' st Vakuftsis), Fedeli, Collacchioni, Pagliuca, Guerri (42' st Belluomini), Tavano, Bonora, Taddei.
Arbitro: Cesari di Genova.
Reti: 7' pt Porro (E) rig., 27' Tavano (F); 3' st Tancik (E).

mercoledì 26 febbraio 2014

Siamo un popolo di sportivi. Da divano...



Inguaribili sportivi da salotto. O, se preferite, da bar. La sostanza non cambia. In Italia lo sport, e il calcio in particolare, occupa i nostri pensieri quotidiani. Ma a una bella corsa nel parco o a una sana partitella fra amici, preferiamo interminabili discussioni sull'arbitro cornuto che non dà questo o quel rigore, sull'allenatore incapace che non azzecca la formazione, sul giornalista in malafede per un 5 in pagella al nostro giocatore preferito… e così via. 
Primi nello sport "chiacchierato", ultimi nello sport praticato. 
Della materia sportiva in senso stretto, conosciamo poco o niente. Di nostro figlio e/o figlia, ci interessa che diventi un campione, meglio se strapagato. Ma ignoriamo regole e peculiarità dello sport che pratica. Vietato parlare di "cultura sportiva", in Italia. Peggio che essere tacciati di bigottismo. Largo alla polemica, alla protesta d'ufficio, ai titoli urlati, agli insulti razzisti, all'entrata (verbale e fisica) violenta. È così da sempre. Scendiamo tutti in campo, ogni week end. Sbagliando però l'approccio. Semplicemente perché, duole dirlo, dello sport crediamo di sapere tutto o quasi. E invece ignoriamo tutto. O quasi. 
Giornalisti, dirigenti, allenatori, scuola, governanti: sul banco degli imputati c'è posto tutti, nessuno escluso. Perché lo sport, vissuto così, non fa bene alla salute del corpo e dello spirito. Al contrario, fa malissimo. Ed è una grande occasione sprecata. Inutile girarci attorno: o qualcosa cambia, e ognuno di noi fa la sua parte in questa effettiva svolta, oppure la deriva proseguirà. Come accade da anni, non da un giorno o da una settimana. L'articolo di Enrico Landoni, sulla questione, è illuminante.        

Occorre una nuova politica dello sport*

«C'è un fatto che contraddistingue la situazione dello sport oggi in Italia ed è l'inadeguatezza degli sforzi finora attuati per la promozione dell'educazione fisica e sportiva che è fondamento di elevazione materiale ed etica dei cittadini. A queste insufficienze fa acceso contrasto l'ampiezza di mezzi di cui dispone lo sport professionistico. Alla ricchezza finanziaria (…) si accompagnano inoltre formidabili strumenti di suggestione (…). Il risultato è la diffusa tendenza a confinare lo sport in una prospettiva sempre più lontana».
Nulla di più esatto e puntuale per fotografare e descrivere l'attuale grado di sviluppo della cultura sportiva nel nostro Paese. Peccato però che l'autore di quest'analisi non sia, per così dire, un osservatore contemporaneo, trattandosi del celebre arbitro di calcio Concetto Lo Bello, deputato democristiano dalla sesta alla nona legislatura, scomparso nel 1991, e che la citazione si riferisca alla relazione introduttiva a una proposta di legge illustrata a Montecitorio addirittura nell'aprile del 1973, eppure ancora quanto mai attuale. Il che significa quindi che nel corso degli ultimi quarant'anni davvero poco è stato fatto sul fronte di una autentica cultura sportiva.
A dimostrarlo, d'altra parte, mettendo bene in evidenza tutti i limiti della nostra identità sportiva e le gravissime conseguenze prodotte dalla mera spettacolarizzazione, a uso e consumo delle pay tv, dei grandi eventi sportivi, sono i dati del rapporto Eurispes pubblicati sulle pagine di questo giornale il 31 gennaio scorso e la stucchevole polemica divampata tra il presidente del Coni, Giovanni Malagò, e il vicedirettore generale della Rai, Antonio Marano, sulla questione dei diritti televisivi inerenti i Giochi Invernali acquisiti da Sky per 155 milioni di euro, cifra fuori budget per il servizio pubblico. 
Proprio la ricorrenza olimpica diventa così l'occasione utile per tornare a riflettere sui tratti distintivi dello sport italiano e sul profilo di colui il quale si definisce o è definito "sportivo", in mancanza di una vera discussione pubblica sul tema, rispetto a cui il silenzio e il disinteresse della politica appaiono oggi imbarazzanti, gravi, ma non sorprendenti. 
Basti infatti pensare che in questi settant'anni di storia repubblicana, il Parlamento, oltre ad avere individuato nel Coni il "supplente titolare" delle politiche di sostegno al settore, rinunciando così alle proprie prerogative e a un diretto ruolo di indirizzo, soltanto in una occasione ha scelto di promuovere un'adeguata iniziativa di indagine e analisi. È accaduto esattamente quarant'anni fa, a cavallo fra il 1973 e il 1974, in occasione della "Indagine conoscitiva sulla situazione e sulle prospettive dello sport in Italia", che, promossa dalla Commissione Interni della Camera, presieduta dal socialdemocratico Antonio Cariglia, rappresenta quindi una sorta di unicum nella storia dell'Italia contemporanea.
Davvero tante furono allora le personalità augite a Montecitorio: il sempreverde Onesti, i presidenti di federazione e degli enti di promozione sportiva, i rappresentanti degli enti locali, alcuni atleti e diversi giornalisti, tutti a denunciare la sostanziale assenza dello Stato, lo strapotere del Coni e l'esigenza di una nuova missione educativa, volta a promuovere anzitutto l'esercizio fisico, inviso ai tanti sportivi da salotto o da telecomando.
Grazie soprattutto all'illuminante contributo di Giampaolo Ormezzano, all'epoca direttore di "Tuttosport", si giunse così alla prima ufficiale teorizzazione del binomio sport-benessere, da noi oggi assunto come dato incontrovertibile, che tale però non era quarant'anni fa. Ne è quindi seguita una reinterpretazione in chiave sempre più soggettiva del principio "lo sport per tutti", portata poi alle estreme conseguenze dalla cosiddetta rivoluzione del wellness, che divampata nel corso degli anni Novanta, ha fatto della pratica sportiva un'attività di carattere spiccatamente individualistico e ad alto contenuto estetico e, proprio per questo, dotata di un valore aggiunto spendibile sul fronte mediatico-commerciale.
Ad appesantire il quadro, sul piano scientifico-culturale, ha poi contribuito il sostanziale fallimento dei corsi di laurea in Scienze Motorie, che sono nati ormai quindici anni fa privi di quella solida vocazione tecnico-pedagogica propria degli Isef e di una necessaria centralità delle discipline umanistiche.
Che fare, allora? Anzitutto rifiutare una volta per tutte il pregiudizio gentiliniano davvero duro a morire, per cui lo sport è una sorta di ramo secco, di attività esclusivamente pratica, e quindi di rango inferiore a quello delle attività intellettuali e speculative. Ridefinire di conseguenza gli ordinamenti accademici e investire sul bagaglio culturale, oltre che tecnico-specialistico, dei futuri professionisti dello sport, meritevoli peraltro del presidio deontologico ed economico di un nuovo specifico ordine professionale. 
Occorre puntare, poi, sull'effettiva estensione dei progetti di alfabetizzazione motoria a tutte le scuole elementari del Paese ed esigere infine dal mondo della comunicazione un nuovo approccio allo sport, facendone conoscere al grande pubblico non solo le stelle con i relativi ingaggi, ma anche e soprattutto le regole, la storia e gli specifici tratti distintivi. Così finalmente forse il divano cesserà di essere lo sport più popolare e praticato nel Paese.         

* articolo di Enrico Landoni, docente di Storia e Legislazione dello Sport presso la Scuola di Scienze Motorie dell'Università degli Studi di Milano, pubblicato su Avvenire di domenica 23 febbraio 2014