Il nuovo passa attraverso un ritorno al passato. In Italia (purtroppo) funziona spesso così. Si cambia per il gusto di cambiare, si apre la finestra giusto il tempo di cambiare l’aria, poi la si richiude immediatamente, sai mai che possa entrare nella stanza qualche refolo davvero innovatore. Il calcio non fa eccezione. Anzi. Mai spingersi oltre, mai invadere il territorio altrui, mai abbandonare la strada certa per esplorare orizzonti e prospettive nuovi. Troppo rischioso. E soprattutto fastidioso. Perché nessuno rinuncia a un pezzetto del proprio potere. Ecco, allora, la grande idea. Valorizziamo i giovani. Perbacco, tutti d’accordo a parole. E come? Con il campionato riserve? Troppo costoso. Con le squadre B in Lega Pro? No, sennò alla Lega di Firenze si incatenano ai cancelli. Allora proviamo aprendo alla multiproprietà, consentendo cioè ai club di A e B di testare liberamente i propri giovani nelle categorie inferiori, dando così un aiuto sotto il profilo economico. Ehhh, ma c’è tutta una normativa organizzativa e fiscale da rivedere. Mica semplice. E anche qui si rischia di pestare i piedi a qualcuno. Meglio lasciar perdere.
Però bisogna cambiare, l’ultima Final Eight Primavera che ha proclamato la Lazio Campione d’Italia ha dimostrato chiaramente che, così come, questo campionato serve a poco. Ed eccola, l’idea meravigliosa che sgorga nella testa dei Palazzinari del nostro calcio. Primavera aperta solo alle 20 società di Serie A. Circolo esclusivo, riserva protetta, ingresso riservato a soci facoltosi. Si gioca tra di noi, magari ci si incontra quattro, cinque, sei volte in un anno: vuoi mettere l’appeal del derby milanese ripetuto all’infinito?
E le Primavere di B? Si faranno il loro campionato? In fondo negli Anni 60 era così: due campionati, due vincitori (prendere visione degli almanacchi, prego). Oggi ci potremmo aggiungere una bella Supercoppa (che non guasta mai, per la gioia del marketing), mettendo a confronto le vincitrici dei due tornei. Dai, bello, così vediamo chi è il più forte. Come si faceva una volta in cortile, con quelli del palazzo di fronte. Ognuno giocava nel suo giardino, poi arrivava la sfida incrociata. E giù botte…
Okay. Fine dell’ironia. Torniamo seri. Chi ci guadagna? È così che miglioriamo la qualità dei nostri vivai? Dubito fortemente. E poi, scusate: siamo davvero sicuri che nel settore giovanile di un Cesena, di un Brescia, di un Palermo o di una Reggina (butto lì tre o quattro nomi di società che, a livello giovanile, qualcosina hanno vinto: e, soprattutto, qualcosina hanno prodotto) si lavori tanto peggio che alla Juve, al Milan, alla Roma, all’Inter o alla Lazio? Dove sta il “salto di qualità” che garantirebbe questa formula? Vero, a livello Allievi si è deciso di separare A e B dalla Lega Pro, questo ci può stare. Ma non la A dalla B. Tanto è vero che alla Final Eight Allievi è arrivato l’Empoli (ecco, mi scuso, altro settore giovanile mica da ridere, l’avevo dimenticato). E i Giovanissimi del Padova (a proposito…), che nella semifinale-scudetto hanno fatto tremare la Roma?
Su, spiegateci il grande vantaggio, l’”inutile” utilità di questa rivoluzione. La qualità dei nostri giovani calciatori dipende ben altri fattori. Vogliamo parlare di strutture? Di qualità degli allenamenti? Di formazione degli istruttori? Di confronto (tecnico, tattico e organizzativo) con le scuole di altri Paesi? Di procuratori che entrano liberamente negli spogliatoi dei bambini? Di mamme e papà blanditi da ricchi premi e cotillon (buoni spesa, buoni pasto, vacanze premio, tessere cinema omaggio, motorini, affitti di favore per convincerli a portare il figlio qua piuttosto che là…)? Sì, parliamone. E vi aiuto a capire cosa si può davvero fare. Ve l’assicuro, non ci vuole un genio. Io non lo sono.
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