Obiettivo calcio

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sabato 20 novembre 2010

Il disagio

Un tragico fatto di cronaca. Accade alle porte di Bologna. Un ragazzino di 15 anni si suicida con la pistola che il padre custodiva (con regolare porto d'armi) in casa. Una fine inspiegabile. Senza apparente ragione. Una morte che getta nello sconforto genitori, amici, parenti, l'intero paese in cui abitrava. In tutti, la stessa domanda: perché?
Anche Fabio si interroga. E' papà di due ragazzi che praticano sport e allena gli Allievi regionali del Sasso Marconi, società di buon livello dell'hinterland bolognese. I suoi giocatori hanno la stessa del ragazzo suicida. Coincidenza che interroga il papà, l'allenatore, l'uomo. E la riflessione finisce sulle pagine del magazine mensile della società. Facendoci capire che non si va al campo solo per calciare un pallone o per provare schemi. E, soprattutto, che non si vive di soli risultati. Nello sport come nella vita.

<Quindici anni. L'età dei miei ragazzi. Un giovane apparentemente allegro. Uno sportivo. Allenamenti, partite. Un altro sport rispetto al nostro, ma la stessa faccia, gli stessi amici, la stessa scuola, gli stessi sogni, le stesse ragazze... E una famiglia normale. Ma adesso quel ragazzo non c'è più. Cosa l'abbia spinto a un gesto estremo, a una scelta assoluta, è qualcosa che fatichiamo a comprendere, qualcosa che tormenta la nostre coscienze e ci spinge a cercare risposte a mille domande.
Il fatto è che non conosciamo abbastanza i nostri ragazzi. Come adulti fatichiamo a trovare la distanza giusta, quell'equilibrio che ci consente di non essere troppo assillanti, pressanti, stressanti. O, al contrario, di rimanere lontani, di lasciare fare tutto quello che vogliono, curandoci poco di loro.
Mio figlio è felice? Domandarglielo non serve. Le risposte di solito sono monosillabi ripetitivi, di facciata, pronunciati tanto per accontentare i genitori.
E allora come possiamo accompagnare la crescita dei nostri ragazzi, in questa difficile fase evolutiva? Quali sono i rimedi? Come rendersi conto del malessere che cova all'interno di una sensibilità assoluta e fragile come quella di un ragazzino di 15 anni?
Non so dare risposte. I miei figli hanno passato da poco questa età e sinceramente non credo di essere ancora riuscito a comprenderli appieno. Non so a che distanza mi sono posto. Se c'ero quando serviva o se hanno avuto bisogno e non me ne sono accorto. Credo, in senso generale, che possano essere utili tre cose: l'esempio, la disponibilità e le regole.
Spesso sottovalutiamo l'importanza che ha il nostro modo di comportarci. Ma i ragazzi sono attenti e valutano il nostro modo di fare. Alla distanza è fondamentale. Poi vanno responsabilizzati a rispettare i princìpi della famiglia, a capire che al suo interno ci sono regole. Non devono per forza condividerle subito. Lo faranno in seguito. L'importante è che vedano che siamo noi adulti a seguirle e a comportarci di conseguenza. Infine, dobbiamo cercare di esserci sempre. Magari in silenzio, magari soffrendo. Ma attenti a essere vicini, quando gireranno lo sguardo per cercarci.
Quindici anni. Adesso, al campo, ho 21 figli di questa età. E cerco di far capire loro che lo stare insieme, l'impegnarsi per qualcosa, il curarsi fisicamente e il crescere con dei valori, è un privilegio che va difeso>.

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