Sassuolo e Verona padrone del campionato, con il Livorno (che fra l’altro sabato ritroverà Siligardi, fermo da cinque settimane per infortunio) appena un gradino sotto, pronto ad approfittare dell’eventuale cedimento di una delle due. E se il resto non è noia, parafrasando una vecchia canzone di Franco Califano, l’impressione è che comunque si tratti di un altro campionato, anche bello nella sua grande incertezza (sette squadre in tre punti, dai 20 del Cittadella ai 17 del Varese), ma comunque limitato alla corsa playoff.
La classifica parla chiaro. La differenza di valori sin qui è apparsa netta. Lo scontro diretto del Bentegodi non ha fatto altro che certificare questa superiorità. Sbaglia chi minimizza e parla di una «notte di Serie A vissuta più nell’attesa che nella sostanza». No, c’è stata anche la sostanza. Una contrapposizione di tecnica e di tattica vissuta sul filo di un equilibrio spezzato soltanto dalla genialata di “Juanito” Gomez (nella foto la prodezza), una torsione di testa spalle alla porta che gli ha permesso di indirizzare la palla sul secondo palo, di precisione, là dove Pomini non è potuto arrivare. In mezzo, dicevamo, tanta roba. Un fiume in piena, il Sassuolodella prima mezz’ora. Sorgente inesauribile sulle fasce, dove i perfetti automatismi delle due catene (Gazzola-Valeri-Troianiello a destra, Longhi-Missiroli-Berardi a sinistra) producevano giocate ad alta pericolosità, vanificate però dalla bravura di Rafael (decisivo su bolide dal limite di Missiroli) e dalla scarsa risolutezza di Pavoletti, che in due occasioni mancava il tap-in decisivo da pochi passi. Ecco, se un difetto si può riscontrare nel Sassuolo, è una pulizia, di palleggio e di fraseggio, perfino eccessiva. Manca quella che un vecchio maestro della B, Nedo Sonetti, chiamava “belvaggine”. Ovvero quel furore agonistico che bada al sodo, che va dritto al bersaglio, che non si perde in ricami, che non si preoccupa troppo dello stile. Invidiabile, il self control dei neroverdi. Non smarriscono quasi mai la giusta distanza fra i reparti, neppure nel disperato forcing finale alla ricerca del pareggio, ma proprio in virtù di questo gioco “controllato” perdono qualcosa in concretezza. Non amo troppo le statistiche, tuttavia l’analisi del match prova che l’indice di pericolosità del Verona è stato superiore a quello del Sassuolo (45% contro 34%), pure a fronte di un numero minore di palle giocate (568 contro 634), di una supremazia territoriale inferiore (10′ contro 13′) e di una percentuale più bassa di possesso palla (46% contro 54%).
Eccolo, il Verona. Perso un lucido metronomo come Tachtsidis e faticando a trovarne il degno sostituto (non mi convincono né il compassato Bacinovic né il frenetico Jorginho), Mandorlini quest’anno punta a colpire gli avversari ai fianchi, affidando la lenta ma inesorabile opera di demolizione a due “belve” (si ritorna al concetto espresso sopra) come Laner e Hallfredsson, mastini implacabili che impattano con successo in ogni zona del campo e innescano subito le ripartente degli esterni. Palloni su palloni fatti salire in modo continuo, sapendo che prima o poi verranno capitalizzati dal guizzo risolutivo di Cacia, Gomez, Bojinov o Cocco, batteria di bombardieri perfino eccessiva per la categoria. Un difetto nell’assetto scaligero? Se puntata in velocità, palla a terra, la difesa è vulnerabile. Moras non ama rincorrere, Cacciatore e (soprattutto) Martinho prediligono avanzare a sostegno e così resta all’onnipresente (e sottovalutato) Maietta l’ingrato compito di fare da tappabuchi. Cosa che peraltro gli riesce molto bene.
Il big match meritava, credo, una disamina approfondita. Ma voglio comunque raccogliere qualche altro “segnale” lanciato dal campionato. E parto dalla profonda crisi del Novara che è costata la panchina a Tesser. Si è puntato il dito contro l’inesperienza del diesse Giaretta, reo secondo la critica di aver toppato più di una scelta di mercato. Opinione rispettabile e non priva di qualche fondamento (esperienza e competenze non sono roba da discount…), ma sulla quale nutro però qualche perplessità. Vero è che la rivoluzione post retrocessione è stata avallata dalla proprietà e che Tesser ha incontrato enormi difficoltà nel ricomporre il puzzle. L’organico sarà pure vittima di errori ed omissioni, resto peraltro dell’idea che il Novara, pure così com’è, avrebbe potuto raccogliere almeno 5-6 punti in più. Da dimenticare l’esperimento di Lazzari mezzala, così come non credo sia il caso di insistere sul tandem Gonzalez-Mehmeti, artiglieria troppo leggera contro le difese schierate, sfruttando invece l’indubbia qualità del kosovaro (naturalizzato svedese) fra le linee, quale ideale collante fra una mediana più di sostanza che di fantasia e due attaccanti (Gonzalez e Piovaccari) portati stabilmente nel cuore dell’area avversaria, faccia alla porta.
Terzo pareggio consecutivo, questa volta contro il Cesena, per il Padova. Che già una settimana fa, contro il Modena, mi era parso “accontentarsi” di uno zero a zero assai povero di contenuti. D’accordo, pesa l’assenza in regia di Cuffa. D’accordo, il palo di Cutolo. D’accordo, i miracoli in serie del portiere romagnolo Belardi. Eppure la squadra di Pea resta al momento un’inspiegabile incompiuta, sempre lì a metà strada fra il vorrei e il non posso. Strano a dirsi, conoscendo il tecnico, ma in più di un giocatore non si avverte quella “fame” di risultati che pure l’ambiente dovrebbe avere, viste le ambizioni d’inizio stagione. Bisogna altresì cambiare passo in trasferta (solo 8 punti sui 21 complessivamente conquistati, al lordo della penalizzazione) e lo smarrito Varese di questi tempi (su cui tornerò la prossima settimana: insisto col dire che Castori deve cambiare spartito) rappresenta una tappa fondamentale.
Errori arbitrali (clamorosi, bisogna ammettere) e conseguenti proteste in campo di alcuni dirigenti. Invito l’ottimo Abodi, presidente di una Lega che sta seriamente lavorando per un calcio meno “avvelenato”, a intervenire con il pugno di ferro. Non esiste infatti attenuante alle penose sceneggiate di Foti e Camilli. Non c’è rigore negato, espulsione, ammonizione o provocazione che possano giustificare le smodate e teatrali rimostranze di chi guida un club e dovrebbe dare per primo l’esempio. Su Camilli mi sono espresso a suo tempo (ricordate le monetine tirate dalla tribuna contro la terna arbitrale, sotto gli occhi di alcuni bambini?). A Foti (che sabato ha dato al direttore di gara “dell’arbitro da Interregionale”) ricordo che da certi presidenti di Interregionale (oggi Serie D) ci sarebbe solo da imparare. Chi ha orecchie per intendere…
Gianluca Grassi
Votate nel sito del Guerin Sportivo (www.guerinsportivo.it) il sondaggio sulla Serie B: quali squadre conquisteranno la promozione diretta in A?
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