Obiettivo calcio

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giovedì 7 novembre 2013

Talenti italiani in crisi? Ecco come la penso


Il mio pensiero sulla crisi e sulle difficoltà a emergere e a trovare spazio dei giovani calciatori italiani.
L'intervento lo potete trovare anche all'interno del Guerin Sportivo in uscita il 10 dicembre.

Non tutto è sbagliato, molto da rifare

Piano a parlare di specie in via di estinzione. In Italia il calcio è ancora il sogno di tantissimi giovani. L’ultimo rilevamento Figc (2013) certifica la presenza nel Settore Giovanile e Scolastico di quasi 660mila ragazzi di età compresa fra i 5 e i 16 anni. Il 59% dei tesserati complessivi. Di questi, più di 300mila appartengono alle categorie Piccoli Amici (5-8 anni) e Pulcini (8-10 anni). E poco più avanti, fra gli 11 e i 13 anni (Esordienti), nel nostro Paese un maschio su quattro gioca a pallone. Come dire che la materia su cui lavorare non manca di certo. E neppure il talento, secondo giudizio unanime, fa difetto ai giovani italiani.
Ma la strada che porta al mestiere di calciatore, ricco di fascino e di golose prospettive economiche, si fa da subito in salita. E sotto lo striscione del traguardo (leggi debutto in Serie A) giungono soltanto poche decine di eletti. L’approfondita inchiesta di Varriale, corredata da statistiche e raffronti significativi, ci spiega il perché e il percome di questa durissima corsa a eliminazione. Investimenti irrilevanti nel vivaio, se confrontati con il fatturato totale dei club; l’età-media molto alta della nostra Serie A; un mercato sempre più esterofilo, in virtù di un (presunto) miglior rapporto fra qualità e prezzo; l’ossessionante ricerca del risultato, tanto a livello professionistico quanto nei campionati giovanili, che fa sì che si privilegi spesso l’aspetto fisico a quello tecnico. 
È però limitativo, se non fuorviante, scaricare tutte le colpe del misero raccolto finale sulle società di vertice. I problemi, in realtà, nascono a monte, nella cosiddetta attività di base che pure, come si sottolineava sopra, raccoglie l’entusiastica adesione di decine di migliaia di bambini. Entusiasmo, passione e, in molti casi, predisposizione che tuttavia vengono ben presto soffocati dall’atteggiamento sbagliato del mondo adulto. Tra dirigenti che pensano solo a incassare quote (500 euro all’anno il valore medio dell’iscrizione a una delle oltre 7.000 Scuole calcio sparse sul territorio), ammassando ragazzini in impianti fatiscenti e su campi di patate, istruttori (tanti a livello di puro volontariato) che vanno a caccia di coppette e trofei solo per soddisfare il proprio ego, allenando esclusivamente in funzione della partita (ovvero badando più a distruggere che a fare gioco) e trascurando un virtuoso percorso di addestramento tecnico individuale, e genitori che “investono” sui propri figli quasi fosseto Bot o Bpt (pago dunque giochi, mi diventi un famoso campioncino, io smetto di lavorare e ti faccio da procuratore), ecco spiegata la strettoia che porta nel giro di qualche anno all’inevitabile abbandono e, in taluni casi, alla dispersione di una discreta dose di qualità: poco più di 70mila i superstiti che arrivano a giocare negli Allievi (14-16 anni). Senza dimenticare i danni provocati da una selezione sempre più precoce (su questo punto ci permettiamo di dissentire con la politica federale che ha introdotto l’Under 15) affidata alle innumerevoli società di scouting che nascono dalla sera alla mattina, altra pericolosa “illusione” per molti giovani alla ricerca di un lavoro e attirati dalla possibilità di entrare nel pianeta-calcio dalla porta di servizio.
Osservatori maniacali, superdocumentati e supertecnologici, ma spesso distratti e svagati, sbugiardati dalle cronache che ci riportano la scoperta talvolta del tutto “fortuita” di un talento calcistico. Caso recente, quello del sassolese Berardi, notato a 16 anni su un campetto alla periferia di Modena mentre giocava con gli amici da un dirigente che passava di lì per caso in bicicletta.
Cosa fare, allora, per non bruciare questa gioventù? Restituirle innanzitutto il gusto del gioco. L’emozione di un dribbling, il brivido di una rovesciata, l’audacia di un tiro al volo, la fantasia di un colpo di tacco, l’incoscienza di un rigore “a cucchiaio”. E rispolverare la vecchia figura del Maestro di calcio. Quello che ti coinvolgeva, piccolo, grassotello o lumaca che tu fossi. Che ti appassionava alla maglia che indossavi. Che teneva i genitori fuori dallo spogliatoio. Che ti faceva perfino accettare la panchina. Che, a prescindere dal 4-4-2 o dal 3-5-2, ti mandava in campo con una pacca sulla spalla dicendoti: Adesso fammi vedere quel che sai fare. E che, anche quando si perdeva, portava all’allenamento successivo paste e pizza per tutti. 

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