Obiettivo calcio

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giovedì 13 novembre 2014

Liberiamo Ghoncheh Ghavami: Modena Volley al fianco di Amnesty



Ghoncheh Ghavami è un giovane ragazza iraniana condannata a un anno di carcere per aver voluto assistere a un evento sportivo (Iran-Italia, valida per la World League maschile e disputata lo scorso giugno), malgrado il divieto imposto dalla morale islamico-sciita e dunque accusata di “propaganda contro il sistema di governo”.
Il mondo dello sport si è stretto attorno a questa vicenda e tante sono state le dimostrazioni di solidarietà.
Fra le tante, significativa quella di Catia Pedrini, presidentessa di Modena Volley: «Di fronte a questa situazione deprimente, la mobilitazione del mondo del volley per Ghoncheh Ghavami, la giovane iraniana condannata a un anno di carcere per aver voluto sfidare il divieto per le donne di assistere agli eventi sportivi, è di straordinaria importanza. Come Modena Volley abbiamo realizzato un video che sta avendo enorme divulgazione e che dimostra che c’è una parte del mondo sportivo che non si chiude in se stessa, nei palasport o negli stadi, ma che guarda a cosa accade nel mondo, prendendo posizione e denunciando situazioni che offendono il comune sentire. Due settimane fa, il volley italiano ha mandato la sua solidarietà a Ghoncheh e ha fatto sapere alle autorità iraniane che la repressione che stanno portando avanti non passa inosservata. Dobbiamo dare coerenza e continuità a questa e ad altre mobilitazioni. Ora Amnesty International ha lanciato un appello mondiale per la scarcerazione di Ghoncheh. Io ho aderito e vi invito caldamente fare lo stesso cliccando sul link http://www.amnesty.it/iran-ghoncheh-ghavami. In 53 anni di attività, gli appelli di Amnesty International hanno tirato fuori dalle carceri del mondo oltre 50.000 prigionieri di coscienza. Vogliamo che Ghoncheh sia la prossima».
Riccardo Noury, Direttore dell’Ufficio Comunicazione Amnesty International Italia, spiega: «Abbiamo sentito frasi quali “È solo un evento sportivo”, “Lo sport non può fare il cane da guardia della situazione dei diritti umani nel mondo”, “Non mescoliamo lo sport con la politica”, pronunciate da dirigenti sportivi in occasione di eventi piccoli o grandi. Penso alle Olimpiadi estive di Pechino, a quelle invernali di Sochi, ai gran premi di Formula 1 in Bahrain, ai Mondiali di calcio di Brasile 2014, mentre l’edizione del 2022 in Qatar rischia di passare alla storia come quella basata sullo sfruttamento del lavoro migrante in condizioni equivalenti alla schiavitù. Invece proprio dallo sport, grazie alla sua straordinaria popolarità e diffusione, deve arrivare un messaggio chiaro contro qualsiasi forma di sfruttamento e repressione della libertà individuale».

mercoledì 5 novembre 2014

Settore giovanile: quando il figlio educa il padre

Riporto da La Stampa del 4 novembre il pungente commento di Massimo Gramellini (la sua quotidiana rubrica "Buongiorno" è un imperdibile momento di riflessione) sull'aggressione di un giovane arbitro avvenuta in Puglia per opera del papà di un altrettanto giovane calciatore (categoria Giovanissimi). Il quale, per nulla fiero di avere come (finto) paladino della giustizia il proprio genitore, non ha esitato a rinfacciarglielo, chiedendo nel contempo scusa al coetaneo malmenato per futili ragioni (un rigore non fischiato? un'ammonizione affrettata? un fallo invertito? niente che possa legittimare una reazione del genere...).
Una lezione da tenere a memoria. E un motivo per ritrovare, seppur a denti stretti, il sorriso: se il mondo gira storto, per fortuna c'è qualcuno che ha voglia di raddrizzarlo. Fregandosene dei cattivi esempi che ha spesso accanto a sé .

Durante il secondo tempo di una partita del campionato Giovanissimi, il padre di uno dei ragazzini in campo scavalca la rete di recinzione e prende a ceffoni l’arbitro diciassettenne, mandandolo all’ospedale. Non è questa la notizia, anzi fino a qui saremmo nella tragica normalità. Quella dei genitori che considerano i figli un prolungamento del proprio ego e si ergono a difensori del buon nome della casata contro qualunque autorità costituita - insegnante, vigile, arbitro - osi lederne il prestigio con decisioni inopinate: un votaccio, una multa, un rigore non dato. Ma stavolta affiora una variabile imprevista: di fronte al padre che ha appena picchiato un adolescente in suo nome, il calciatore ragazzino scoppia in lacrime, si avvicina alla barella su cui giace l’arbitro e gli chiede scusa. Con una certa goduria provo a immaginare la scena: il padre manesco, impavido risanatore di torti, cerca lo sguardo del figlio per catturare i segnali della riconoscenza e dell’ammirazione, e invece in quegli occhi gonfi di pianto trova soltanto la ribellione che nasce dall’imbarazzo e dal disprezzo. 
Dicono che, nel bene e nel male, siamo come ci hanno fatto i nostri genitori, poi però la vita consegna queste storie di speranza. I cattivi esempi che si respirano in casa possono essere ribaltati da altri ambienti: la scuola, la squadra, la compagnia e, soprattutto, se stessi. Si nasce con il rispetto per gli altri già incorporato: il segreto sta nel non dimenticarsene quando si cresce. 

Nella foto, Massimo Gramellini