Obiettivo calcio

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venerdì 30 novembre 2012

Il punto sulla Serie B


Alla vigilia della giornata numero 17 (toccate ferro e sintonizzatevi su Brescia-Verona: lo spettacolo merita), un sguardo d’insieme e qualche spigolatura sulla zona salvezza che vede per ora coinvolte squadre partite con ben altri obiettivi.
Con l’ennesimo passaggio di testimone alla guida del Grosseto, Camilli si candida anche quest’anno all’Oscar di “Miglior Tritallenatore” non protagonista della B. Il progetto di Somma (6 punti in 8 partite: peggio di Moriero silurato dopo averne fatti 7 in 7 gare) è naufragato in un amen. Ricordate la prima intervista? In perfetto stile “camillese”: «Bisogna pensare in grande. Anche alla Serie A». Disastro annunciato, avevo scritto. Detto e fatto. E non è questione di modulo. La coperta resta corta. Non per niente Somma era approdato, dopo il tentativo presto abortito di virare sul 4-2-3-1, alla stessa soluzione proposta in avvio da Moriero: un 3-5-2 che in fase di non possesso abbassava sistematicamente i due esterni (con spiccate caratteristiche difensive) trasformandosi in 5-3-2. Perché continuare ad avere un terminale implacabile come Sforzini, non risolve il problema di un reparto arretrato cronicamente fragile, non a caso il peggiore fra ultime della classe con 19 gol subiti, e a corto di argomenti (ovvero di piedi buoni) quando si tratta di far ripartire l’azione. Adesso tocca alla coppia di superdebuttanti Magrini-Consonni. La fantasia di Camilli non ha limiti. Peccato ne faccia uso solo per tagliare teste. La usasse magari nelle scelte di mercato, forse ai tifosi del Grosseto riuscirebbe a regalare qualche emozione diversa dal solito “cinepanettone” natalizio.
Male, il Novara. Malissimo. Anche qui siamo alla terza gestione. Anche qui dobbiamo ragionare su un progetto tecnico (4-3-1-2) che fatica a decollare sul campo per mancanza di interpreti adeguati. E anche qui Aglietti è ripartito da dove aveva lasciato Tesser, avvicendato dal duo Gattuso-Perrone: ovvero schierando Lazzari trequartista, ruolo ancora in cerca di autore. Sul tema mi sono già espresso: in quella posizione vedrei bene Mehmeti, magari tenendo larghi davanti a lui Gonzalez (o Piovaccari) e uno fra Lazzari e Lepiller. Almeno con quello che offre l’attuale organico. Dove manca pure un “regista” difensivo, un leader, un giocatore che per temperamento e senso tattico sappia tenere compatta la linea, senza esporre il povero Bardi a continue turbolenze. Novara da salvezza? Sì, purché la piazza non viva di (recenti) ricordi e l’ambiente si rimbocchi le maniche senza lamentare complotti (è successo con il Livorno, nella foto Barusso lotta con Luci) o nascondersi dietro l’alibi della sfortuna.
Più vedo Pro Vercelli e Lanciano, più resto convinto della loro cifra tecnica complessivamente modesta, da categoria inferiore. Due squadre che pure lottano, si battono, perfino offrono a tratti qualche sprazzo di buon calcio, ma che concretizzano pochissimo davanti (specie il Lanciano, fin qui il peggior attacco del campionato) e soprattutto concedono sempre troppo spazio dietro (Pro Vercelli difesa colabrodo con 27 reti incassate). Numeri che condannano. Come l’impatto “zero” di Camolese a Vercelli: appena 4 punti in 7 partite e un encefalogramma piatto che la dice lunga su uno spogliatoio poco sintonizzato sulle frequenze del nuovo mister. Lo scontro diretto di sabato con il Vicenza non gli lascia alternative. Se non vince, torna Braghin?
Bella la Reggina vista a Sassuolo per un’ora. La riprova è che finora la difesa della capolista neroverde non era mai andata così in affanno. Gran bel vedere i movimenti d’attacco di Ceravolo, Sarno e Comi, ispirati in tutta evidenza da un tecnico (Dionigi) che da metà campo in su sa cosa fare e come farlo fare. Da dimenticare, invece, l’ultima mezz’ora. Perché, ha ragione il presidente Foti, c’è modo e modo di perdere. E il Sassuolo alla fine poteva tranquillamente segnare 5-6 reti. Difesa morbida e soprattutto poco protetta dagli esterni: i tre centrali sono costretti così ad allargarsi e basta un taglio ben fatto (Troianiello e Boakye sono andati a nozze) per mettere l’attaccante davanti al povero Baiocco. Fra le pericolanti la Regia è quella che mi pare meglio attrezzata, ma la fase difensiva va curata di più.
Il Cesena di Bisoli, lo si è visto anche in Coppa Italia, è squadra “viva”. In attesa del mercato di gennaio, il tecnico è riuscito a trasmettere al gruppo la sua proverbiale grinta. Voglia di lottare e di restare sempre sul pezzo che sono una garanzia in chiave-salvezza. E manca ancora il vero Iori, irriconoscibile pensando al regista che l’anno scorso trascinò alla promozione il Toro: quando si deciderà a prendere per mano i romagnoli, il salto di qualità verrà di conseguenza.
Trascuro per il momento Ascoli, Vicenza e Crotone, anche se non sono affatto fuori dalla mischia. Ci sarà tempo per riparlarne. Molto, credo, dipenderà dai movimenti di gennaio. Anche se, vista la crisi dirompente, ci aspetta un mercato che solo in pochi casi sposterà davvero gli equilibri.

giovedì 15 novembre 2012

Il punto sulla Serie B


Mentre Sassuolo, Verona e Livorno sembrano sempre più intenzionate a fare corsa a sé, alle loro spalle si cerca di tenere accesa almeno la fiammella della speranza dei playoff. Perché avanti di questo passo, c’è il rischio concreto che fra la terza e la quarta classificata si formi un divario superiore ai nove punti. E a quel punto, addio spareggi-promozione.
Focus dunque sul gruppetto delle immediate inseguitrici. Dove nell’ultimo periodo sta brillando il Brescia, fra l’altro atteso domenica (nel posticipo televisivo delle 12.30: scelta che ha creato sconcerto e scontento…) dalla sfida con la capolista Sassuolo. Vincendo finalmente in trasferta (non accadeva dallo scorso primo maggio), la squadra di Calori ha confermato la costante crescita di rendimento che, a mio parere, deriva soprattutto dalle certezze tattiche che il tecnico ha saputo trasmettere fin dall’inizio ai propri giocatori. Un lavoro iniziato in sordina, complice il profondo rinnovamento dell’organico (con cessione di pezzi pregiati quali El Kaddouri, Jonathas e Leali) e l’affiorare di lacune a cui si è rimediato intervenendo in corsa (vedi l’innesto dello svincolato Stovini in difesa e quello di Corvia in attacco grazie al mercato “supplementare” aperto dal declassamento forzato del Lecce causa condanna in Calcioscommesse). Ma portato avanti senza grandi ripensamenti, convinto com’era Calori di avere gli uomini giusti per il suo 3-5-2, apprezzato marchio della casa. E i fatti gli stando dando ragione. Arcari in porta è una certezza; De Maio, Salamon e Stovini rappresentano una Maginot granitica, benché sempre inappuntabile quando viene puntata in velocità palla a terra; il pendolo di Zambelli e Daprelà dà ampiezza e profondità; la personalità e l’esperienza di Budel (nella foto, la sua gioia dopo il gol realizzato sabato al Manuzzi) hanno preso per mano i baby Lasik (92) e Bouy (93) rendendoli credibili cursori di centrocampo; Caracciolo e Corvia, in B, non si discutono, al di là di qualche errore di troppo nella mira; Saba sta dando espressione a qualità tecniche sopra la media anche se talvolta ancora macchiate da vene di insufficienza e di ingenuità. Può solo crescere, questo Brescia. Specie se qualche altro giovane, penso a Mitrovic e Benali, si deciderà a farci capire di che pasta è fatto.
Restando alla zona-playoff, avevo promesso di sfiorare il tema-Varese, più volte ricorrente negli interventi dei lettori di questa rubrica. Sabato è arrivato un segnale “forte”, ma aspetterei a parlare di guarigione completa dopo il lungo digiuno. Certo è che Castori ha ritrovato contro il Padova un’aggressività, una fisicità e uno spirito di sacrificio da tempo smarriti, specie sulle fasce (devastati Grillo e Nadarevic a sinistra). La giornata di grazia di Neto Pereira impone invece una seria riflessione: il fatto che sia giunta in coincidenza con l’assenza (per squalifica) di Ebagua, potrebbe non essere casuale. Perché è vero che il nigeriano si è dimostrato terminale imprescindibile, ma è altrettanto vero che la sua presenza è “ingombrante” (sia fisicamente che caratterialmente) e condiziona chi gli deve girare attorno, Neto Pereira in primis.
Terzo kappaò consecutivo per la Ternana. Frenata troppo vistosa per essere ignorata, anche se i numerosi infortunati sono un alibi tutt’altro che irrilevante. Paradossalmente deve preoccupare che le sconfitte siano maturate lottando alla pari anche contro avversari di valore come il Verona. Non manca il gioco, tutt’altro. Mancano i gol, manca la finalizzazione di una manovra che convince fino alla trequarti, ma poi si scioglie come neve sotto il sole primaverile. Appena undici gol in quattordici partite: la Ternana ha il secondo peggior attacco della serie cadetta, alla pari con il Cesena, soltanto una rete in più del Lanciano. Ragusa ha smarrito le qualità espresse a Reggio Calabria, Alfageme è lontano parente dell’attaccante apprezzato a Grosseto, Maniero e Dumitru faticano a integrarsi. È questo il reparto su cui Toscano dovrà concentrare il suo lavoro.
Chiudo con Novara e Pro Vercelli. Le ho viste entrambe in diretta, ospite come ogni settimana di un’emittente televisiva modenese che segue Modena e Sassuolo. Impressione davvero sconfortante. La Pro (fatti gli auguri di pronta guarigione ad Appelt che si è fratturato il perone) non è per ora formazione all’altezza della categoria: troppe amnesie in difesa, molle l’atteggiamento a centrocampo, impalpabile il contributo offensivo di Zigoni e Tiribocchi (irriconoscibile). Le gambe (e la testa) sono rimaste in Lega Pro. Non va certo meglio a Novara, con l’imberbe Faragò (’93 pure in possesso di qualche “numero”) mandato allo sbaraglio sulla trequarti in una squadra vuota di idee e di energie. Bardi è l’unico a salvarsi in un grigiore preoccupante. C’è tanto da fare. Forse troppo.
Gianluca Grassi


Votate il sondaggio sulla Serie B nel sito del Guerin Sportivo (www.guerinsportivo.it): quali squadre conquisteranno la promozione diretta in A?

lunedì 12 novembre 2012

Arbitro pestato: siamo tutti colpevoli


Fine pena: 8 novembre 2017. Solo allora tornerà in campo Andrea De Fazio, giocatore della Virtus Calcio Bologna (società che partecipa al campionato di Terza Categoria) che domenica scorsa, nel corso di Virtus-Malalbergo, ha preso a calci e pugni l'arbitro Guerra di Imola costringendolo alla sospensione e rendendone necessario l'immediato ricovero in ospedale. Il Comunicato del giudice sportivo spiega che «l'Arbitro ha sospeso la gara in oggetto al 35' del primo tempo in quanto era impossibilitato a continuare la direzione della stessa causa avvenuta aggressione con violenti pugni alla testa e alla schiena da parte di un giocatore della società Virtus Calcio. Il Direttore di gara, assistito dai dirigenti della società Malalbergo si recava al Pronto Soccorso dell'Ospedale Maggiore con un'autoambulanza appositamente chiamata. La diagnosi rilasciata dall'ospedale parla di trauma cranico, colpo di frusta e contusione alla scapola sinistra. Dopo accertamenti, l'Arbitro veniva dimesso alle ore 23 circa. Inoltre dalla borsa del Direttore di Gara consegnata ai sanitari dell'Ospedale Maggiore da parte dei dirigenti della società Virtus mancavano le distinte della gara e un paio di scarpe». Da qui i cinque anni di squalifica e i 100 euro di multa alla società Virtus.
Sempre domenica, sempre a Bologna e sempre in Terza Categoria (non pensiate però che gli "sfigati" giochino solo in Emilia Romagna…) un'altra partita (Fossolo 76-Real Azzurri) finiva in rissa. Risultato: due giocatori (uno per parte) squalificati per sei giornate in quanto «colpivano violentemente con un pugno un giocatore avversario provocandogli la frattura del setto nasale» e altri due tesserati del Real Azzurri squalificati rispettivamente per cinque e quattro giornate per «aver colpito violentemente (nel primo caso) e spintonato (nel secondo) un avversario a fine gara».
Ogni ulteriore commento sarebbe superfluo. Solo una provocazione. Queste sono le conseguenze del veleno che viene continuamente sparso nel mondo del calcio, ring impunito di polemiche e risse verbali. Piccole dosi di violenza, iniettate a tradimento, che goccia dopo goccia penetrano nel sentimento e nella passione della gente comune, facendo passare il concetto che, in nome di una maglia o di una bandiera, tutto è lecito. Anche pestare un arbitro, reo magari di non aver concesso un gol o un rigore. Perché, in fondo, lo "sfigato" è (sempre e comunque) quello con il fischietto in bocca. Quello che sbaglia, o non vede, apposta, per favorire una squadra piuttosto che un'altra. Non le avete lette le accuse dei Pulvirenti o dei Moratti? Non li leggete i giornali? Dai addosso all'arbitro, la colpa è sempre sua…
Brutti, sporchi, cattivi e pure corrotti. Per questo i nostri figli che giocano a calcio, da un paio di anni, si devono "autoarbitrare". Lo ha deciso il Settore Giovanile e Scolastico della Figc, almeno nella categoria Pulcini: «Per non alimentare le proteste dei genitori a bordo campo». Meglio eliminare il problema, piuttosto che affrontarlo educando (ragazzi, mamme e papà) al rispetto delle decisioni e di un regolamento il più delle volte sconosciuto. Per prendere a calci l'arbitro c'è sempre tempo. Fra qualche anno, in un anonimo campetto di periferia, campionato di Terza categoria. Ecco perché, di questo pestaggio, siamo tutti responsabili... 

giovedì 8 novembre 2012

Il punto sulla Serie B


Sassuolo e Verona padrone del campionato, con il Livorno (che fra l’altro sabato ritroverà Siligardi, fermo da cinque settimane per infortunio) appena un gradino sotto, pronto ad approfittare dell’eventuale cedimento di una delle due. E se il resto non è noia, parafrasando una vecchia canzone di Franco Califano, l’impressione è che comunque si tratti di un altro campionato, anche bello nella sua grande incertezza (sette squadre in tre punti, dai 20 del Cittadella ai 17 del Varese), ma comunque limitato alla corsa playoff.
La classifica parla chiaro. La differenza di valori sin qui è apparsa netta. Lo scontro diretto del Bentegodi non ha fatto altro che certificare questa superiorità. Sbaglia chi minimizza e parla di una «notte di Serie A vissuta più nell’attesa che nella sostanza». No, c’è stata anche la sostanza. Una contrapposizione di tecnica e di tattica vissuta sul filo di un equilibrio spezzato soltanto dalla genialata di “Juanito” Gomez (nella foto la prodezza), una torsione di testa spalle alla porta che gli ha permesso di indirizzare la palla sul secondo palo, di precisione, là dove Pomini non è potuto arrivare. In mezzo, dicevamo, tanta roba. Un fiume in piena, il Sassuolodella prima mezz’ora. Sorgente inesauribile sulle fasce, dove i perfetti automatismi delle due catene (Gazzola-Valeri-Troianiello a destra, Longhi-Missiroli-Berardi a sinistra) producevano giocate ad alta pericolosità, vanificate però dalla bravura di Rafael (decisivo su bolide dal limite di Missiroli) e dalla scarsa risolutezza di Pavoletti, che in due occasioni mancava il tap-in decisivo da pochi passi. Ecco, se un difetto si può riscontrare nel Sassuolo, è una pulizia, di palleggio e di fraseggio, perfino eccessiva. Manca quella che un vecchio maestro della B, Nedo Sonetti, chiamava “belvaggine”. Ovvero quel furore  agonistico che bada al sodo, che va dritto al bersaglio, che non si perde in ricami, che non si preoccupa troppo dello stile. Invidiabile, il self control dei neroverdi. Non smarriscono quasi mai la giusta distanza fra i reparti, neppure nel disperato forcing finale alla ricerca del pareggio, ma proprio in virtù di questo gioco “controllato” perdono qualcosa in concretezza. Non amo troppo le statistiche, tuttavia l’analisi del match prova che l’indice di pericolosità del Verona è stato superiore a quello del Sassuolo (45% contro 34%), pure a fronte di un numero minore di palle giocate (568 contro 634), di una supremazia territoriale inferiore (10′ contro 13′) e di una percentuale più bassa di possesso palla (46% contro 54%).
Eccolo, il Verona. Perso un lucido metronomo come Tachtsidis e faticando a trovarne il degno sostituto (non mi convincono né il compassato Bacinovic né il frenetico Jorginho), Mandorlini quest’anno punta a colpire gli avversari ai fianchi, affidando la lenta ma inesorabile opera di demolizione a due “belve” (si ritorna al concetto espresso sopra) come Laner e Hallfredsson, mastini implacabili che impattano con successo in ogni zona del campo e innescano subito le ripartente degli esterni. Palloni su palloni fatti salire in modo continuo, sapendo che prima o poi verranno capitalizzati dal guizzo risolutivo di Cacia, Gomez, Bojinov o Cocco, batteria di bombardieri perfino eccessiva per la categoria. Un difetto nell’assetto scaligero? Se puntata in velocità, palla a terra, la difesa è vulnerabile. Moras non ama rincorrere, Cacciatore e (soprattutto) Martinho prediligono avanzare a sostegno e così resta all’onnipresente (e sottovalutato) Maietta l’ingrato compito di fare da tappabuchi. Cosa che peraltro gli riesce molto bene.
Il big match meritava, credo, una disamina approfondita. Ma voglio comunque raccogliere qualche altro “segnale” lanciato dal campionato. E parto dalla profonda crisi del Novara che è costata la panchina a Tesser. Si è puntato il dito contro l’inesperienza del diesse Giaretta, reo secondo la critica di aver toppato più di una scelta di mercato. Opinione rispettabile e non priva di qualche fondamento (esperienza e competenze non sono roba da discount…), ma sulla quale nutro però qualche perplessità. Vero è che la rivoluzione post retrocessione è stata avallata dalla proprietà e che Tesser ha incontrato enormi difficoltà nel ricomporre il puzzle. L’organico sarà pure vittima di errori ed omissioni, resto peraltro dell’idea che il Novara, pure così com’è, avrebbe potuto raccogliere almeno 5-6 punti in più. Da dimenticare l’esperimento di Lazzari mezzala, così come non credo sia il caso di insistere sul tandem Gonzalez-Mehmeti, artiglieria troppo leggera contro le difese schierate, sfruttando invece l’indubbia qualità del kosovaro (naturalizzato svedese) fra le linee, quale ideale collante fra una mediana più di sostanza che di fantasia e due attaccanti (Gonzalez e Piovaccari) portati stabilmente nel cuore dell’area avversaria, faccia alla porta.
Terzo pareggio consecutivo, questa volta contro il Cesena, per il Padova. Che già una settimana fa, contro il Modena, mi era parso “accontentarsi” di uno zero a zero assai povero di contenuti. D’accordo, pesa l’assenza in regia di Cuffa. D’accordo, il palo di Cutolo. D’accordo, i miracoli in serie del portiere romagnolo Belardi. Eppure la squadra di Pea resta al momento un’inspiegabile incompiuta, sempre lì a metà strada fra il vorrei e il non posso. Strano a dirsi, conoscendo il tecnico, ma in più di un giocatore non si avverte quella “fame” di risultati che pure l’ambiente dovrebbe avere, viste le ambizioni d’inizio stagione. Bisogna altresì cambiare passo in trasferta (solo 8 punti sui 21 complessivamente conquistati, al lordo della penalizzazione) e lo smarrito Varese di questi tempi (su cui tornerò la prossima settimana: insisto col dire che Castori deve cambiare spartito) rappresenta una tappa fondamentale.
Errori arbitrali (clamorosi, bisogna ammettere) e conseguenti proteste in campo di alcuni dirigenti. Invito l’ottimo Abodi, presidente di una Lega che sta seriamente lavorando per un calcio meno “avvelenato”, a intervenire con il pugno di ferro. Non esiste infatti attenuante alle penose sceneggiate di Foti e Camilli. Non c’è rigore negato, espulsione, ammonizione o provocazione che possano giustificare le smodate e teatrali rimostranze di chi guida un club e dovrebbe dare per primo l’esempio. Su Camilli mi sono espresso a suo tempo (ricordate le monetine tirate dalla tribuna contro la terna arbitrale, sotto gli occhi di alcuni bambini?). A Foti (che sabato ha dato al direttore di gara “dell’arbitro da Interregionale”) ricordo che da certi presidenti di Interregionale (oggi Serie D) ci sarebbe solo da imparare. Chi ha orecchie per intendere…
Gianluca Grassi
Votate nel sito del Guerin Sportivo (www.guerinsportivo.it) il sondaggio sulla Serie B: quali squadre conquisteranno la promozione diretta in A?

Il sole dentro - Un calcio all'ingiustizia


Il 15 novembre uscirà nei cinema “Il sole dentro”, un film di Paolo Bianchini con Angela Finocchiaro, Diego Bianchi, Francesco Salvi, Giobbe Covatta. Il film racconta due storie, una vera e l’altra di invenzione. La storia vera è quella del lungo viaggio di Yaguine e Fodè, due adolescenti guineani che nel 1999 hanno scritto a nome di tutti i bambini africani una lettera indirizzata “Alle loro Eccellenze, i membri e responsabili dell’Europa”. Con la missiva in tasca, nella quale i due ragazzi chiedono aiuto per avere scuole, cibo e cure, Yaguine e Fodè si nascondono nel vano del carrello di un aereo diretto a Bruxelles ed inizia così il loro straordinario viaggio della speranza che si concluderà però tragicamente. Le vicende di Yaguine e Fodè si incrociano con la seconda storia che narra di un altro viaggio, questa volta dall’Europa all’Africa, avvenuto dieci anni dopo, intrapreso da altri due adolescenti innamorati del pallone. Thabo e Rocco, uno africano e l’altro italiano, sono vittime del mercato dei bambini calciatori, dal quale sono fuggiti. Un vero e proprio bazar nato dalla “cultura perversa” che ha trasformato i valori e il piacere del gioco in un immenso affare dove quasi sempre la competizione serve solo a raggiungere il successo e la ricchezza economica. Thabo e Rocco, giocando con un pallone, loro unico compagno di viaggio, attraversano l’Africa a piedi, percorrendo in senso opposto uno dei tanti “sentieri delle scarpe” tracciati in anni da migliaia di uomini, donne, bambini in fuga dalle carestie e dalle guerre. Il loro cammino è ricco di insidie e difficoltà, ma anche di incontri ed esperienze straordinarie che li cambieranno per sempre.
Epilogo agrodolce. Quando l’airbus 300 della Sabena conclude il suo lungo volo atterrando a Bruxelles, un tecnico scopre abbracciati i corpi assiderati di Yaguine e Fodè, trovando nelle loro tasche la lettera indirizzata ”Alle loro Eccellenze…”. Il viaggio di Thabo e Rocco si conclude invece a N’Dola, il paese natale di Thabo, dove li attende un campo di calcio in terra battuta dedicato a Yaguine e Fodè e un mister un po’ speciale che tutti chiamano “pasta e fagioli”. La partita che conclude il film è una festa gioiosa che unisce vincitori e vinti, e nella quale il gioco del calcio ritrova il suo vero valore, abbattendo le barriere che dividono.
Un film che mi auguro trovi spazio nella programmazione scolastica e nell’attività dei settori giovanili per un momento di riflessione sui molteplici messaggi che il mondo dello sport, e del calcio in particolare, può trasmettere. E a cui noi adulti siamo chiamati a dare un lieto fine. Compito che purtroppo non sempre abbiamo la capacità di assolvere con la necessaria competenza.
Gianluca Grassi